Questa settimana si rinnova l’appuntamento con gli articoli giunti in redazione dagli amici di Facciamo Finta Che. Raffaele Pepe, in particolare, ci ha proposto una sua riflessione, che vogliamo condividere con voi, su un classico della letteratura mondiale.

Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano“. Questa è senza dubbio una delle frasi più celebri del libro “Il piccolo principe”, scritto da Antoine de Saint-Exupéry e pubblicato nel 1943.

In questo articolo ho intenzione di esporre una mia riflessione, che si basa su uno dei temi trattati nel libro in questione e che può riassumersi nella frase sopra citata.

Tutti siamo stati bambini, e questo è scontato, ma non lo è il legame che conserviamo con quel periodo della nostra vita che, senza rendercene conto, vola via in un attimo. Nella società di oggi è necessario crescere velocemente, bisogna diventare adulti per trovarsi un’occupazione ed essere indipendenti (così ci dicono), tuttavia mi chiedo quando possiamo davvero definirci tali se prima dipendiamo dalla nostra famiglia e dopo dalla società?

Una volta entrati a far parte del mondo del lavoro, infatti, bisogna rispettarne le regole, affidandosi a esso, vendersi metaforicamente, altrimenti si è fuori e non si può portare il pane a casa. Mi sento di definirlo un meccanismo ambiguo, dato che molte persone nonostante si impegnino duramente non ricevono altrettanto, continuando a vivere una vita di sacrifici e non di speranze. Ormai il modello imposto al popolo è questo, e se non lo si condivide si viene posti ai margini della società. Perché il bambino che è in noi viene dimenticato?

Quando si è bambini non si seguono modelli, si tende a pensare fuori dagli schemi e ciò incrementa la nostra immaginazione, i nostri sogni e le nostre speranze. In quel periodo, insomma, si è ancora liberi di sognare.

Da bambini, ci accorgiamo di solito di possedere uno o più interessi, che possiamo definire innati, ed essendo ancora liberi di sognare ce ne appassioniamo, nella speranza di poterli coltivare anche in futuro. Poi arriva l’adolescenza, fase delicata della vita, nella quale si rischia di perdere il contatto con quei sogni, si inizia a ragionare da adulti, anche incentivati dalla famiglia e dalla scuola, e gli interessi sorti nell’infanzia vengono etichettati come “cose da bambini“. Giunge il tempo di lasciare spazio alle “cose da grandi“, le quali non rispecchiano noi stessi, ma sono frutto delle necessità della fase adulta. Questo è quello che è accaduto pure al protagonista del libro, colui che narra in prima persona l’incontro con il piccolo principe, che racconta del suo interesse verso il disegno da bambino, successivamente non coltivato proprio a causa dei grandi, che gli consigliarono di dedicarsi ad altro, impedendogli una possibile carriera da pittore, come lui stesso afferma.

Riferendosi a ciò, quante volte ascoltiamo dai parenti, dagli insegnanti o da altre persone, considerazioni del tipo “lascia stare questa passione, dedicati ad altro di più fattibile“? Frasi del genere rischiano di compromettere i sogni.

Il piccolo principe, invece, vive di sogni, di immaginazione e di speranza, è un bambino che difficilmente si intende con i grandi. Molti di essi, da lui incontrati nel corso del suo viaggio, sono vittime dei propri vizi, giudicati “strani” da lui stesso. Di rado incontra qualche adulto che gli piacerebbe avere come amico, un’eccezione è il protagonista, a cui si lega sempre di più, contraccambiato, col passare del tempo.

Il piccolo principe vede in lui un adulto comprensivo e un buon amico, mentre lui nel piccolo principe vede il bambino che era. Un incontro che sa di viaggio iniziatico per entrambi, un’iniziazione ai valori importanti della vita, spesso offuscati dalla  monotona quotidianità nella quale siamo prigionieri inconsapevoli.

Altra celebre frase del libro è “non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi“, che suggerisce una visione della vita più autentica, che trova risalto soprattutto nei bambini. Gli adulti, invece, intrappolati nel ritmo frenetico della quotidianità, adottano una visione differente, rifugiandosi in felicità momentanee e illusorie. Ciò, ovviamente, non va esteso a tutti gli adulti, non si deve generalizzare, ma è chiaro il malcontento tra le persone che va ad aumentare. Coloro che vivono in condizioni precarie tendono a cercare la felicità in finti piaceri come l’alcool o altro, ma ciò non rinvigorisce il cuore e nemmeno la mente. I bambini sono maggiormente puri e soprattutto non ancora sporcati da un sistema marcio in cui il popolo, consciamente o inconsciamente, è nelle mani di pochi privilegiati, anche loro marci dentro e viziati, che vivono opprimendoci in un sistema benefico soltanto per loro.

Quando si è piccoli si ha una visione differente della vita, si osserva il mondo non solo con gli occhi, ma con un altro parametro, il cuore, inteso anche come una parte di noi più emozionale, desiderosa di amare davvero qualcuno o qualcosa, pure le cose più banali, generalmente definite “cose da bambini“, ma che in quel momento diventano importanti.

Come viene scritto nel libro, “i grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta“. Quando si è adulti si rischia di reprimere questa parte più insita a causa del poco tempo da dedicare a se stessi, dato il ritmo frenetico di tutti i giorni citato prima, mentre i bambini, avendo a disposizione più tempo, possono impiegarlo per imparare ad amare, per coltivare interessi e per se stessi. Al piccolo principe,  infatti, viene detto che “è il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante“.

Detto ciò, esiste una soluzione a tutto questo? Cambiare il sistema vigente nella società non è certo facile, ma a mio parere uno strumento utile per tutti è la consapevolezza, essere consapevoli del mondo in cui viviamo, dei suoi lati positivi e di quelli negativi, consapevoli di essere migliori di quello che pensiamo o che ci vogliono far pensare e, di conseguenza, essere padroni della nostra vita, cercando il meglio per noi stessi.

Infine, come ci insegna il piccolo principe, bisogna essere consapevoli del bambino che eravamo, affinché non vada dimenticato, continuando a sognare e a sperare, coltivando i cosiddetti interessi innati, che ci comunicano molto di noi stessi, indicandoci la strada per la felicità.

di Raffaele Pepe

Fateci sapere nei commenti se avete letto “Il piccolo principe” e quali sono le vostre opinioni a riguardo. Se, invece, non avete ancora avuto occasione di leggerlo, vi lasciamo il link dove trovarlo: https://amzn.to/3X4u2Xl

Un pensiero su “IL PICCOLO PRINCIPE E IL BAMBINO CHE È IN NOI di RAFFAELE PEPE”
  1. Si ho letto questo libro moltissimi anni fa ma, solo oggi con la maturità sono riuscita a coglierne appieno il suo grande messaggio spirituale ovvero: mai abbandonare all’oblio il bambino che è dentro i di noi ma mantenerlo sempre vivo e presente. Grazie per aver condiviso il suo illuminante articolo.

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