Mi presento: mi chiamo Stella e sono un’appassionata ricercatrice in molti ambiti, dalla nutrizione all’alchimia, dall’ominazione all’esoterismo, dalla musica alla magia, passando per il giardinaggio, il fai da te, la scrittura e l’ascolto terapeutico. Uno dei crucci – e dei piaceri – più grandi della mia vita è sapere che non riuscirò mai a conoscere tutto ciò che davvero m’interessa. Questo è un cruccio perché la mia sete di conoscenza è inesauribile, come lo è quella delle molte Anime Belle che ho incontrato in questo “triennio plandemico”, come mi piace chiamarlo. Ma è anche in piacere, perché mi dà la spinta a cercare sempre di più. Prima del 2019 i miei interessi erano rivolti soprattutto alla spiritualità, di cui ritengo che l’alimentazione sia la base e non un qualcosa di accessorio, ma da tre anni a questa parte mi sono dovuta/voluta focalizzare sempre più sul concreto, fin nelle sue più microbiche manifestazioni, perché per combattere l’ignoranza (sul cui cavallo è avanzata la degenerazione globale a cui stiamo assistendo) occorre molta conoscenza, ma anche molta saggezza. Gli ultimi 36 mesi sono stati per me un master di molte materie, ma soprattutto di medicina olistica. Oggi non vi propongo nuove intuizioni, brillanti insight notturni o scoperte sensazionali; oggi vi riporto alcuni brani di un testo che risale al 1995 e che vi farà sgranare gli occhi e vi farà domandare perché, se tutto ciò si sapeva già 28 anni fa, noi siamo dovuti passare attraverso l’inferno plandemico per altro non ancora concluso.

Non aggiungo altro e vi lascio al testo, che ho punteggiato di incisi tra parentesi quadre.

“John Eccles (premio Nobel per la medicina nel 1963 per aver scoperto i processi chimici responsabili della propagazione dell’influsso nervoso) diceva che: «i medici si sono formati alla scuola del materialismo, che è uno stampo rigidissimo, composto da un insieme di dogmi non necessariamente spiegati in modo scientifico! Per esempio, affermare che la nostra esistenza è solo un assemblaggio biologico senza cercare di capire tutto ciò che esula da questo quadro, col pretesto che “non è scientifico”, è un dogma, anzi, peggio, una superstizione! La scienza è piena di superstizioni, ma il pubblico è persuaso che la scienza abbia una risposta a tutto». [John Eccles, Psychologie, n. 100, luglio 1992].

Il medico è pur sempre un essere umano con tutti i suoi limiti e può essere in errore anche se è sincero. Non lasciare a nessuno il compito di decidere di ciò che può essere favorevole o sfavorevole per te. Non accontentarti di un solo parere, consultane altri, prendi la decisione che ti sembra più sensata e che meglio si accorda al tuo sistema di valori, ovvero scegli la soluzione migliore per te.

L’influsso di un medico è enorme, giacché i pazienti che lo consultano credono che lo specialista sappia meglio di loro quel che si deve fare. Troppo spesso, però, gli deleghiamo il nostro potere decisionale, mentre sarebbe nel nostro interesse conservarlo. Non voglio indurvi a diffidare di tutti i medici: il medico ha tanto il potere di rassicurarci e aiutarci in un processo di guarigione, quanto quello di crearci un panico che darà luogo a un problema per ora inesistente, o amplificherà un’affezione già presente; si chiama “impatto iatrogeno”, dal greco iatrós, che significa “medico”.

Quanti malati di cancro ne sviluppano un altro tipicamente ai polmoni? Non sarà che la diagnosi avrà suscitato in loro la paura di morire? Parole come “cancro”, “sclerosi a placche”, “sieropositività” etc. hanno un impatto gravissimo sul paziente, per il quale il cancro è sinonimo di sofferenza e gravi minacce e la sclerosi può significare perdita dell’autonomia, forse la sedia a rotelle, e che dire della famosa diagnosi precoce del retrovirus HIV, che semina il terrore?

Soffermiamoci a chiederci quale effetto possa avere sulla psiche di una persona una diagnosi di sieropositività. C’è chi deciderà di combattere la malattia ricorrendo all’AZT, alle diete, alla medicina olistica o alla preghiera; c’è chi vivrà come se gli restasse solo un paio d’anni da vivere e si preparerà psicologicamente alla morte; altri prenderanno la cosa serenamente finché uno specialista consultato per un’infezione annuncerà che ormai l’AIDS è conclamato, allora tali pazienti andranno nel panico, moltiplicheranno gli esami, i trattamenti e alimenteranno così la loro ansia, che dopo anni o solo pochi mesi di sieropositività sfocerà in un conflitto che si ripercuoterà sul corpo, conformemente alle leggi di causa ed effetto; se il legame con la sieropositività viene sottolineato dal medico e supinamente accettato dal paziente, la fine può manifestarsi anche in brevissimo tempo.

E se l’equivalenza HIV-AIDS fosse sbagliata?

Se la causa della distruzione del sistema immunitario non fosse la presenza del virus HIV, ma lo stato d’ansia continuamente alimentato dai medici, assieme alle cure farmaceutiche? Questa è la conclusione a cui sono giunti diversi specialisti in materia, tra cui Peter Duesberg, professore di biologia molecolare all’Università di Berkeley e membro dell’Accademia Nazionale della Scienze. Grazie alla sua specializzazione in virologia ha partecipato alla decifrazione chimica dell’HIV e a prendere in seria considerazione le lacune e le incoerenze legate a ciò che ormai è diventato un dogma, ossia che l’AIDS sia generato dal retrovirus dell’HIV. Molti fatti supportano tale idea:

  1. l’HIV colpisce meno linfociti (globuli bianchi, che si attivano in caso d’infiammazione) di quanto non faccia il tasso naturale di rinnovamento di queste cellule;
  2. la malattia è assente negli scimpanzé infettati artificialmente;
  3. proporzionalmente molti più sieropositivi in Occidente, rispetto all’Africa, passano allo stadio conclamato;
  4. molti casi di AIDS diagnosticati clinicamente si sviluppano senza la presenza del virus HIV, tanto meno di anticorpi, il che contraddice la dottrina eziologica specifica secondo la quale per poter stabilire un legame di causalità fra un batterio e una malattia infettiva è indispensabile che il 100% degli individui colpiti da tale malattia siano contaminati dal batterio responsabile.

Duesberg ne conclude che l’equivalenza HIV = AIDS è sbagliata, che il virus è probabilmente antichissimo, descritto in termini nuovi ma in sé inoffensivo. Continua a credere che si tratti di un problema immunitario, che tuttavia egli attribuisce a fattori diversi, soprattutto alla frequenza con cui vengono usate le droghe dagli omosessuali, alle varie forme di tossicomania e alla malnutrizione.

Le affermazioni seguenti sono ancora più gravide di conseguenza: il farmaco chemiote­rapico citostatico AZT (un cocktail di sostanze inibitrici della divisione cellulare) è il principale prodotto anti-AIDS. Molte ricerche hanno provato che provoca enormi danni all’organismo, soprattutto al sistema immunitario, poiché partecipa direttamente alla propagazione dell’AIDS, ed è precisamente il prodotto che viene somministrato ai sieropositivi. Le ripercussioni sono gravi, perché ciò implica che l’AIDS non è una malattia infettiva e non ha nulla a che fare con la sessualità; e il trattamento consigliato sarebbe più che altro un genocidio terapeutico. [Vi suona familiare?]

Secondo il Dottor Kary Mullis, inventore della reazione a catena polimerasi, usata in tutto il mondo nell’ingegneria genetica, «nessun virologo può fornire dati che dimostrino che l’HIV è la causa probabile dell’AIDS». I ricercatori che hanno costituito il gruppo per la rivalutazione scientifica dell’ipotesi HIV = AIDS dichiarano che «presto o tardi il legame HIV-AIDS diverrà nota come la più grande cantonata medica di questo secolo. L’AIDS non porta inevitabilmente alla morte, soprattutto se si eliminano i co-fattori che aggravano la malattia; è importantissimo dirlo alle persone che l’hanno contratto» [Ora, quest’opera è stata scritta nel 1995; qualcuno da allora vi ha mai detto tutto ciò?]. «I fattori psicologici hanno un’importanza essenziale per mantenere la funzione immunitaria. Se si elimina il sostegno psicologico a una persona annunciandole che è condannata a morte, queste parole possono rappresentare già di sé una condanna» (Professor Luc Montagnier, scopritore ufficiale del virus HIV) [e prontamente definito “rincoglionito” dai medici di Big Pharma…Che vergona!].

E se l’HIV fosse una vestigia di un vecchio vaccino? L’HIV fu ufficialmente “scoperto” nel 1983 all’istituto Pasteur di Parigi dal professor Luc Montagnier. Le ricerche di Robert Strecker, gastroenterologo e farmacologo, l’hanno portato a concludere che «l’AIDS è stato provocato deliberatamente da prove di vaccinazione contro l’epatite B sugli omosessuali». Il ricercatore è inoltre convinto che l’Africa sia stata contaminata allo stesso modo, in occasione delle campagne di vaccinazione contro il vaiolo per studiare gli effetti di certi batteri e virus, su richiesta dell’OMS [Organismo preposto alla salute che si distinto per la “chiarezza” delle sue direttive nel triennio tuttora in corso]. Strecker spiega infatti che l’HIV non può provenire dalla natura, tant’è diverso dagli altri virus noti [proprio come un altro “vairus” di nostra conoscenza…]; sarebbe dunque il risultato di una clonazione da virus provenienti da animali. «Essex e Abroy si chiedono se la contaminazione non avrebbe potuto aver luogo per via medica, ovvero tramite prodotti realizzati col sangue di macachi, come il vaccino antipolio (Sabin) orale e altri componenti di medicine» (Cit. SIDA, la voie du singe, in Science & Vie, n. 821, febbraio 1986).

Tuttavia, come diceva il biologo Claude Bernard, «il microbo non è nulla, il terreno è tutto». Se sottoponessimo a dei test di diagnosi precoce dell’HIV una popolazione sana, insospettabile di sieropositività, troveremmo una sorprendente quantità di sieropositivi, perché sieropositivo significa solo che si è stati a contatto col retrovirus HIV.

Ma se questo contatto, contrariamente a ciò che hanno fatto credere, fosse solo il rimasuglio di una vaccinazione a cui siamo stati sottoposti? Che sollievo proverebbe la persona che è nel panico da quando le hanno annunciato che è sieropositiva! Questa è la conclusione a cui arrivano eminenti professori, ricercatori e medici che si cerca di zittire [di nuovo, è una situazione che vi suona familiare? Devo fare l’elenco dei medici radiati o, peggio, suicidati?]. Il professo Duesberger è stato bandito dai suoi stessi pari, è stato escluso dai dibattiti e dai media e gli sono state tolte le sovvenzioni per la ricerca sul cancro. Il dottor Hamer, che prendeva in considerazione la sfera psichica dell’individuo e il funzionamento del suo cervello senza limitarsi ai puri aspetti organici e sintomatici della malattia, è stato radiato a vita nel 1986 dall’Ordine dei Medici, gli è stato proibito di praticare ed è stato più volte minacciato di venire internato in manicomio [ma il suo caso è sapientemente ignorato dai media]. Dovremmo chiederci perché il potere metta a tacere chiunque tenti anche solo di risvegliare gli esseri umani perché tornino sani: non sarà che la malattia è un lucroso affare?

Quando veniamo vaccinati, entriamo in contatto con un microrganismo. Diventiamo allora sieropositivi rispetto a quel dato virus, batterio o tossina batterica, e ciò è voluto, ma se entriamo in contatto col virus dell’HIV e poi risultiamo sieropositivi ad esso, allora ti diagnosticano una malattia grave e devi farti curare! Ergo, possiamo essere sieropositivi e vivere tranquillamente, perché l’HIV da solo non causa l’AIDS: se non c’è deficienza immunitaria, non c’è l’AIDS [che significa proprio “sindrome da immunodeficienza ACQUISITA”. Ora, leggete bene bene quanto segue]: l’AIDS è una malattia autodistruttiva collegata quasi sempre al senso di colpa nei confronti della nostra stessa esistenza. Questo ci conduce a rivedere la diagnosi precoce e la vaccinazione: da anni assistiamo a molte campagne pubblicitarie che hanno influenzato e ancora influenzano intere popolazioni per portarle a farsi vaccinare o per piegarle alla diagnosi precoce. Ma è davvero per il nostro bene? Dal punto di vista medico, è una prassi logica quando si pensa che per la maggioranza dei tumori la manifestazione clinica è molto tardiva e che un tumore divenuto canceroso non può fermarsi da solo e va estirpato se vogliamo dare al malato un’occasione di guarigione. Ma se guardiamo la faccenda dal punto di vista delle leggi biologiche, scopriamo che il cancro è reversibile appena si rimuove la causa che l’ha scatenato, allora può trasformarsi in un tumore inoffensivo e inattivo, come ha dimostrato il dr. Leon Reanar in Di cancro si guarisce, Edizioni Amrita. La diagnosi precoce va bene, ma non va più bene se non si tiene conto di un insieme di fattori vissuti dalla persona. I due estremi da evitare sono tenersi spasmodicamente sotto controllo oppure non tener conto affatto dei propri dolori e malesseri; l’equilibrio consiste nel prestare attenzione a ciò che sentiamo, nel cercare la correlazione fra questo e ciò che viviamo, e nell’andare dal medico se necessario.

E la vaccinazione?

«L’organismo deve rimanere vergine da ogni inquinamento quanto e il più a lungo possibile. Attualmente ci creiamo da noi le malattie, e ci muoviamo verso una cancerizzazione generalizzata, verso disturbi mentali da encefalite, da uso di medicamenti, da vaccini e da altri abusi chemioterapici» afferma il professor Leon Grigoraki, dottore in Scienze alla Facoltà di Medicina di Atene. Ed il dottor Robert S. Mendelsohn, eminente pediatra americano, similmente afferma: «La vaccinazione è stata introdotta in modo tanto abile e rapido che quasi tutti i genitori credono sia il miracolo che farà scomparire molte malattie terrificanti del passato. Io stesso ho impiegato i vaccini nei miei primi anni di pratica, ma poi mi sono fieramente opposto alla vaccinazione di massa a causa dei numerosi pericoli che comporta: per la sua inutilità, la vaccinazione di massa è la più grande minaccia per la salute dei bambini».

Èva Lee Snead, pediatra e autrice di diverse comunicazioni scientifiche e dei volumi intitolati Some Call it AIDS, I call it Murder e The Connection between Cancer, AIDS, Immunizations and Genocide, ha svolto per anni ricerche sulla crescita del tasso di cancro e leucemia nei bambini e ha dimostrato la somiglianza fra le sindromi cliniche dell’HIV e quelle dello SV40 delle scimmie verdi africane. In alcuni individui è stato rintracciato l’SV40, ma il solo modo in cui un umano può contrarre l’SV40 dalla scimmia è mangiarne la carne o farselo inoculare col vaccino. E infatti il virus SV40 è stato trovato proprio nel vaccino contro la poliomielite (“la famosa zuppa di scimmia” Sabin) con cui sono stati vaccinati milioni di bambini per anni; è ormai noto che il virus SV40 causa anomalie congenite, leucemie, cancri e una grave immunodeficienza, tutti sintomi simili a quelli dell’AIDS. La ricercatrice ha dimostrato la responsabilità dei vaccini nella comparsa dell’AIDS e nell’aumento di leucemie e cancri. Il vaccino venne ritirato dalla vendita, ma ancora oggi se ne rintraccia la presenza in numerosi casi di cancro poiché è spesso associato al medulloblastoma, il più frequente tumore cerebrale in età pediatrica. Sarà una coincidenza.

Nel 1997, durante un congresso sull’SV40, alcuni ricercatori hanno sottolineato «l’enorme crescita dell’incidenza dei mesoteliomi nella seconda parte del XX secolo, che ha coinciso con l’inoculazione in milioni di persone del vaccino antipolio contaminato con l’SV40». Poiché tra i vaccinati si riscontrano più tumori cerebrali che fra i non vaccinati, gli scienziati iniziano a capire che inoculare in un organismo miliardi di virus è un evento anormale, che provoca un’anormale reazione del corpo. Se il sistema immunitario di un bambino è abbastanza forte e sviluppato riuscirà a tamponare quest’aggressione, ma se non è abbastanza robusto o se reagisce con troppa intensità all’improvvisa invasione virale, non può contrastare un’ulteriore aggressione. Le case farmaceutiche produttrici di vaccini sanno che non si dovrebbero vaccinare i bambini con una risposta immunitaria insoddisfacente; ora il rapporto del comitato medico della Fondazione per l’immunodeficienza pubblicato nel 1992 afferma che «la maggior parte delle immunodeficienze non sono diagnosticabili prima del primo anno di vita», peccato solo che prima di compiere un anno il bambino ha già ricevuto un’abbondante dose di vaccini! (Cfr. “Bio-Forum”, rivista Bio-Contact, agosto 2001).

Da Pasteur in poi, la Scienzah ha considerato le colture attenuate o inattivate di agenti patogeni come la base dell’immunità. La credenza voleva che una malattia inoculata tramite un vaccino in forma debole provocasse nell’organismo la formazione di anticorpi capaci di opporsi alle forme attive della malattia, ma lo scienziato russo Bochian è riuscito a produrre colture vive di agenti patogeni partendo da vaccini uccisi; il fatto di ottenere microbi vivi e virus partendo da substrati diversi, comprese le preparazioni fino ad allora considerate sterili, conferma che i limiti della vita degli organismi, come i virus, vanno molto al di là dei limiti stabiliti dalla scienza ai tempi di Pasteur. Secondo il dottor Vanoli «i vaccini imposti ai bambini sono la causa dell’aumento dei cancri» e molti altri medici continuano a metterci la pulce nell’orecchio: i dottori Kalokerinos e Dettman, del Biological Research Institute in Australia, già nel 1979 affermavano che «il patrimonio immunologico è ridotto in molti bambini sottoposti ai correnti programmi di vaccinazioni». Sempre nel 1979, il dottor Doux, ha scritto su Science & Vie: «gli omeopati hanno messo in evidenza l’enorme problema delle conseguenze a lungo termine delle vaccinazioni. Il disordine cellulare generato dalle aggressioni microbiche costituisce la base del cancro e spiega il lento e inesorabile sviluppo di questo flagello come lo stiamo constatando oggi. Virus che presi singolarmente non sono patogeni possono provocare cancri quando sono co-presenti. Ricombinando un virus inoffensivo del babbuino e un virus inoffensivo del topo, un gruppo di biologi ha creato un ibrido che scatena il cancro non solo nei babbuini e nei topi, ma anche nei cani, negli scimpanzé e in culture di cellule umane» [state calmi, ha detto babbuino, non pangolino…]

In molti paesi la vaccinazione è richiesta per accedere alla scuola dell’obbligo e questo è il motivo per cui la maggior parte dei genitori fa vaccinare i propri figli. Altri lo fanno senza riflettere, credendo alla falsa propaganda che racconta che i vaccini proteggono. Il vaccino è un corpo estraneo che aggredisce il nostro sistema immunitario, ma se le nostre forze calano, questo aggressore che eravamo riusciti a neutralizzare può riprendere vigore e aggredire con maggior forza il nostro sistema immunitario. Allora, perché assumere un tale rischio inutilmente? Perché lasciare alle autorità il diritto di decidere del nostro patrimonio in fatto di salute, e di quello dei nostri figli?

Il dottor Bernie Siegel divideva i suoi pazienti in tre categorie:

— la prima categoria, che comprende il 15-20% del totale, non vuole guarire. Consciamente o inconsciamente, costoro si auspicano di morire per sfuggire a problemi che ritengono insormontabili. La malattia, l’incapacità o la morte sono per loro un pretesto;

— la seconda categoria riguarda la maggioranza, ovvero il 60-70%, che si mette completamente nelle mani del medico, pensando che sarà lui a guarirli col suo arsenale di farmaci. In realtà credono alla pillola che fa miracoli o all’operazione che risolverà la loro situazione. Ci si può stupire allora che la medicina sia diventata un’industria tanto prospera? Nessuna impresa commerciale può sopravvivere senza acquirenti. Se i malati inclusi in questa categoria avessero dovuto scegliere tra subire un’operazione e trasformare il proprio modo di vivere, di pensare e di reagire, per guarire, quasi tutti avrebbero scelto l’operazione;

— nella terza categoria, formata da un altro 15-20% del totale, vi sono quelli che non fanno le vittime e prendono in mano le redini della propria salute cercando di capire cos’ha potuto condurli a sviluppare il tal disturbo o la tal malattia. Questi pazienti vogliono imparare e non temono di guardare in faccia la realtà, sono pronti a mettere in atto le trasformazioni necessarie per ritrovare salute e benessere; hanno capito che la guarigione non sta nella scomparsa di una manifestazione, ma nell’autoguarigione. Questi pazienti non ritengono onnisciente il medico o l’operatore sanitario, ma li considerano compagni di squadra nel processo di guarigione personalmente intrapreso. Se abbiamo in noi la capacità di creare la malattia, abbiamo anche il potenziale di liberarcene. La medicina tiene conto delle statistiche che riguardano l’evoluzione e i decessi nelle varie malattie, ma ignora del tutto l’autoguarigione, banalmente perché quando si guarisce non si va più dal medico. Se si tenessero statistiche sull’autoguarigione, le peggiori prognosi perderebbero molto del terrore che incutono. Secondo il dottor Hamer almeno il 70% dei cancri guariscono spontaneamente, e quando accade il contrario, spesso è proprio la medicina ad aggravare la situazione, infatti, com’egli spiega: «la maggior parte delle persone colpite dal cancro oggi muoiono per il panico provocato dai medici, le cui prognosi pessimistiche scatenano ulteriori traumi emotivi cui fanno seguito altri cancri, che la medicina ufficiale ha immediatamente ribattezzato “metastasi”. Prima o poi i medici capiranno perché i cancri proliferano negli esseri umani mentre è estremamente raro trovare un cancro secondario in un animale. La causa delle “metastasi” è il panico indotto dal medico».

Un malato non ha certo bisogno di venire spaventato e condannato da pronostici funesti. Ciò di cui ha più bisogno invece è di sentirsi rassicurato e venire guidato nel processo di autoguarigione, è dunque nel nostro interesse scegliere medici e terapeuti in grado di rassicurarci e indicarci la via dell’autoguarigione, accompagnandoci coi mezzi di cui dispongono.

Dunque, attenzione all’influsso delle persone di cui ci fidiamo.

Tratto da Claudia Rainville, Metamedicina: La guarigione a portata di mano, 1995.

Con Amore e Saggezza, la vostra

Stella Sophia Picarò

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