La storia biblica è inesatta, il Profeta non era ebreo
Per secoli la storia di Mosè e l’Esodo biblico sono stati oggetto di dibattito tra studiosi e ricercatori. Uno degli aspetti più controversi riguarda la datazione di questi eventi. Tuttavia sono molti gli elementi che potrebbero far cambiare il nostro punto di vista su questa antica narrazione. Fino a poco tempo fa, la Tradizione collocava Mosè e l’Esodo durante il regno di Ramses II, intorno al XIII Secolo a.C. all’epoca della XIX dinastia. Prove sempre più convincenti stanno però emergendo e suggeriscono una datazione diversa: Mosè avrebbe vissuto durante la XVIII dinastia.
Avete mai pensato anche solo per un istante che la storia del bambino “salvato dalle acque” e adottato dalla principessa egizia potesse essere un racconto di fantasia? E se Mosè non fosse stato ebreo ma egizio? Se fosse questa la realtà celata dal racconto biblico? Molti sono gli indizi che ci portano a ritenere valida questa alternativa.
Vediamoli assieme:
-
Già il nome del Profeta nasconde un enigma. Nel libro dell’Esodo, alla parola “Moshes” viene attribuito il significato di “estratto dalle acque”, con allusione al suo salvataggio dal fiume fatto dalla principessa egizia. Questa etimologia però è di tipo popolare. Esiste un verbo ebraico “mashah”, che significa “tirare” “estrarre”, ma in tale relazione il nome significherebbe “estraente” e non “estratto”, quindi la spiegazione descritta nel Libro Sacro non è pertinente perché si tradurrebbe con “colui che salva dalle acque”. Molto probabilmente, invece, il nome “Moshes” è un riferimento alla parola egizia “bambino”, “figlio di”, come troviamo in molti nomi di faraoni: Thut-Moshes, Ptha-Moshes, Ra-Moshes. Il padre di Moshes, quindi, impose al figlio il nome di un dio egizio, poi questo nome andò gradualmente sparendo finché, colui che sarebbe diventato il Profeta, fu chiamato semplicemente Mosè.
-
Anche la storia della cesta di vimini non regge a uno studio approfondito. Tale racconto è stato creato ad arte per fare di Mosè l’eroe nazionale ebreo. La narrazione della nascita del Profeta non è altro che la copia del racconto di Sargon, re di Accad. Anch’egli era stato abbandonato in fasce lungo il corso del fiume e salvato da una donna. Chi ha scritto la storia di Mosè ha attinto a piene mani da questa antica leggenda che ha fatto di Sargon un simbolo per il suo popolo. Quel racconto mitico ha dato dignità al suo protagonista e lo stesso è avvenuto con Mosè. La storia narrata nella Bibbia, quindi, potrebbe essere stata riscritta da apologeti che hanno voluto creare una figura di riferimento per la nazione ebraica.
-
La circoncisione, altro simbolo che unisce Mosè agli ebrei, in realtà, prima di essere un segno distintivo del popolo ebraico lo era stato di quello egizio, come attestano alcune pitture ritrovate all’interno di monumenti funebri antecedenti alla storia dei patriarchi ebrei Abramo, Isacco e Giacobbe. Una scena in cui un ragazzo è tenuto in piedi con i polsi bloccati mentre viene circonciso è rappresentata in una scultura tombale egiziana di Sakkara del 2400 a.C. Si ritiene che nell’antico Egitto la pratica fosse diffusa dapprima in tutti gli strati della società, per divenire successivamente una prerogativa della classe sacerdotale. Ciò conferma che non furono gli ebrei i primi a eseguire questo rituale, ma che la circoncisione fosse già praticata dagli egizi prima della nascita di Abramo.
-
Altro elemento suggestivo è la definizione che la Bibbia dà di Mosè: il Profeta era “tardo di lingua”, balbuziente. Tuttavia, la realtà potrebbe essere molto più intrigante di un semplice impedimento fisico. Forse il Profeta non riusciva a comunicare con gli Ebrei perché parlava una lingua diversa. Forse Mosè conosceva solo la lingua egizia, quindi aveva bisogno di un interprete per comunicare con quello che poi sarebbe divenuto il suo popolo. Ecco quindi svelata l’importanza di Aronne, colui che fu definito suo fratello: egli altri non era che un interprete che avrebbe reso possibile il dialogo tra culture e lingue diverse.
Questi e molti altri indizi fanno del Profeta un perfetto suddito egizio.
Tengo a precisare che quanto riportato sopra è già stato sviscerato da Sigmund Freud negli anni Trenta e che lo potete trovare nel libro che aveva pubblicato poco prima di morire: L’uomo Mosè e la religione monoteistica.
A prima vista però quanto sostenuto anche da Freud sembrerebbe portare a un vicolo cieco. L’Egitto era stato fin dai suoi albori un paese politeista. Per quale motivo, allora, Mosè avrebbe insegnato a Israele un rigoroso monoteismo? Come risolvere questa incongruenza?
Incredibilmente la risposta c’è giunta dal deserto, da una città rimasta sepolta sotto la sabbia per secoli e ritornata alla luce solo alla fine del 1800 d.C. grazie al lavoro di alcuni archeologi che ne hanno ricostruito la storia. Questa città è Amarna, un tempo conosciuta come Aketathon.
La chiave di lettura ha il nome di un faraone: Akhenaton, colui che aveva edificato quella città misteriosa. Un faraone ignoto fino alla fine del XIX Secolo, un sovrano cancellato dalla storia. Quel re oscuro, che i successori avevano eliminato da ogni documento a causa della riforma religiosa di cui era stato artefice, era riemerso dal passato per essere conosciuto con l’epiteto di “faraone eretico”.
Alcuni archeologi sono riusciti a riportare alla luce la vita di colui che aveva rotto le tradizioni millenarie egizie, introducendo nell’Egitto un rigoroso monoteismo. Il suo regno era durato solo diciassette anni e, dopo la sua morte, la nuova religione era stata spazzata via assieme al suo fondatore, eliminato dalla storia come non fosse mai esistito.
Ecco il collegamento con Mosè. É probabile che il profeta fosse un personaggio vicino ad Akhenaton, un assertore della nuova religione, forse un sacerdote del dio Aton, il dio esaltato dalla nuova religione come l’unico esistente.
Akhenaton per dar vita alla sua riforma, aveva fatto chiudere tutti i templi dedicati agli altri dèi, abolito il loro culto, arrestato e ucciso i loro sacerdoti, cancellato le figure di Iside e Osiride, eliminato il rito della mummificazione e il Libro dei Morti.
Dopo la morte del faraone eretico, però, l’erede legittimo, suo figlio Tutankhaton (passato poi alla storia con il nome di Tutankhamon a seguito della controriforma), era ancora troppo giovane per poter proseguire lungo la strada tracciata dal padre. Di questo ne approfittò il clero di Amon, l’acerrimo nemico di Akhenaton, che obbligò il nuovo faraone ad abolire la riforma per reintrodurre la religione della Tradizione. Controllando le leve del potere, i seguaci di Amon iniziarono a perseguitare i fedeli del Dio unico, gli atonisti.
La controriforma fu spietata e impedì ai seguaci di Aton di poter continuare a professare la propria fede. Anche Mosè dovette subire la vendetta dei sacerdoti del dio tebano, ma essendo un uomo di grande temperamento non si arrese. Non voleva ripudiare il suo credo, perciò decise di seguire l’unica soluzione possibile: fuggire dall’Egitto e fondare un nuovo Regno.
Mosè avrebbe forgiato un nuovo popolo fedele al Dio unico, e per farlo avrebbe liberato i semiti prigionieri nel nord dell’Egitto. Forse fu proprio dall’unione di queste due etnie, gli ebrei e gli egizi seguaci di Aton, che l’esodo ebbe inizio.
Il nuovo popolo, l’Eletto, si affidò alla guida di Mosè per raggiungere la Terra Promessa dove i fedeli di Aton avrebbero potuto pregare liberamente il proprio Dio. Gli egizi, inferiori di numero ma superiori per civiltà, esercitarono inizialmente il potere all’interno del nuovo gruppo, almeno fino a quando rimase in vita Mosè. Dopo la sua morte, di fatto, prese sopravvento la cultura semita che nei secoli successivi avrebbe trasformato l’unico dio, Aton, nel guerriero YHWH (Yahweh). Ma questa è un’altra storia.
Ho scritto un romanzo su questo argomento, si intitola Exodus – Il segreto di Mosè.
Ecco a voi la trama:
“Exodus è il titolo che inequivocabilmente evoca la saga degli ebrei in fuga dall’Egitto. Preparatevi, però, a leggere una versione inconsueta del viaggio verso la Terra Promessa, una versione che mina le fondamenta stesse della Bibbia. Forse per secoli abbiamo creduto ad una versione inventata ad arte per celare la vera storia di Mosè.
Exodus osa avvicinare l’inavvicinabile, trasporta il lettore in un epico viaggio tra nazismo e antico Egitto, tra Vienna e Tebe, Hitler e Tutankhamon, traccia un cammino che rende contemporanei Freud e Mosè. Com’è possibile tutto ciò? Sarà l’archeologo tedesco Mark Rätsel, che vive nella Germania degli anni Trenta e si trova a Vienna per una conferenza sull’antico Egitto, ad essere catapultato insieme all’amico fraterno Sigismund Freud, in un’avventura che gli farà scoprire la vera origine del popolo ebraico e la verità riguardo ad uno dei personaggi più misteriosi di tutti i tempi, Mosè. Chi era per davvero il Profeta? Cosa lo spinse ad affrontare la dura vita nel deserto? Perché non entrò nella Terra Promessa? L’archeologo troverà le risposte a queste domande spinose, risposte travolgenti e stravolgenti. Insieme al fidato amico, Rätsel riuscirà a trovare il filo conduttore che lo porterà alla sconvolgente scoperta della causa scatenante le varie persecuzioni subite dagli ebrei nelle diverse epoche, culminate poi nella “soluzione finale” nazista.
Nondimeno Exodus è un libro di speranza. Suggerisce al lettore di non arrendersi di fronte alle avversità della vita. Ognuno ha il suo Egitto dal quale scappare: un lutto, un amore perso, una malattia o altro ancora. Il romanzo consiglia di non arrendersi mai, di seguire la scelta di Mosè: affrontare il viaggio nel deserto della vita per raggiungere la Terra Promessa, qualunque essa sia.”
Di DAVIDE BARONI