Silentium Aureum Est
Nella nostra società sovraccarica di chiassosa informazione, è bene imparare a usare il dono del silenzio. Gli antichi lo veneravano come una divinità: i romani invocavano Angerona, dea del silenzio e dei piaceri, nume tutelare delle unioni clandestine, medica dei mali cardiaci e della tristezza e custode del vero nome della Città, che finché fosse stato mantenuto segreto, avrebbe protetto l’Urbe dalle invasioni. Angerona era raffigurata con l’indice destro sulle labbra serrate ed era celebrata il 21 dicembre, giorno del solstizio d’inverno, quando il sole sprofonda nell’immobilità per 3 giorni e 3 notti. Nell’area greco-egizia si adorava invece Arpocrate, rappresentato con la mano destra sul cuore (e non sulle labbra, ad indicare forse che il silenzio costa coraggio) e coperto d’occhi e orecchie, perché molte cose possono esser viste e udite, ma poco se ne può dire. Horus Arpocrate era spesso assimilato al dio Mercurio, che ammonisce sulla necessità di proteggere il sapere ermetico e i segreti iniziatici.
Noi invece siamo abituati a strizzare l’occhio mentre poniamo un dito sulle labbra, a significare, forse inconsciamente, che quanto stiamo ora tacendo lo diremo più tardi, perché è un segreto “piccante” o “proibito dalla legge” o semplicemente per darci importanza, e così facendo dissipiamo il potere di quella stessa parola taciuta.
Il dono del silenzio implica invece ben altro; saperlo usare significa che tutte le volte che una cosa non ti va bene e vorresti fare una critica (quando non una scenata), invece di dare fiato alle trombe bisogna imparare a tenere la bocca chiusa; il che non vuole dire reprimersi.
Non è come quando da piccola ti dicono “Taci” e tu quelle benedette parole che avevi già in gola non sai più dove metterle, né dove indirizzarle, perché la loro via naturale (“fuori”), è stata appena sbarrata; d’altra parte nemmeno loro sanno più dove andare: lì, in gola, non possono proprio stare, a rischio di soffocarti, allora le ingoi, banalmente; ma riemergono, magari sotto forma di lamento o capriccio; e di nuovo ti senti ammonire a tacere dagli adulti. Magari i genitori, per ricacciarle giù, dentro, inconsapevoli del male che ti stanno recando, accompagnano con un dolce l’invito a zittirti, e dopo la terza volta che lo schema si ripete, sei programmata per sempre a una qualche sorta di disturbo alimentare o peggio, a meno che tu non te ne renda conto e non sia grande, forte, saggia, determinata e consapevole abbastanza da distruggere lo schema, il programma che ti hanno instillato, goccia a goccia, o meglio, boccone dopo boccone, e installato nella mente.
Giusto per inciso, con brevità e per amor di precisione, vorrei esplicare tale schema, il programma che il tuo inconscio ha recepito, registrato e perpetuato, quando da piccola eri ammonita a non intrometterti quando parlano i grandi, e quelle parole erano accompagnate con qualcosa di sfizioso da mangiare; ecco, in quel momento veniva perpetrato su di te come un reato colposo un programma che consta dei seguenti punti:
– a nessuno importa cosa pensi e (dio non voglia) cos’hai da dire;
– impara a tenere a freno la lingua;
– se soffri, se tutta questa situazione che si ripete ogni settimana, per esempio, quando andate a far visita ai nonni o agli zii, e invariabilmente ti fa soffrire, ecco, consolati con un dolcetto, un salatino, il gelato, la pasta al forno, le unghie, i capelli in bocca, anything goes! Literally!
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No… Il Silenzio a cui alludevano le divinità e che era il cardine di tutte le iniziazioni misteriche non è certo questo; ma non avrei mai potuto impararlo se non fossi prima passata anche da questo. A quel punto tu avevi idee, pensieri e parole, ma non sapevi dove metterle, per cui tentavi di tenerle giù col cibo. Ma nessun pasto potrà mai bastare; nessuna sostanza materiale e fisica potrà mai essere più forte del tessuto mentale di cui sono fatte le idee, e questo è un fatto di magia. Quindi le frasi ingoiate tornavano su, e allora hai dovuto imparare a tirarle fuori secondo modalità che non prevedessero di buttar fuori anche il cibo con cui avevi cercato di affogarle. Ed è allora che hanno iniziato a chiamarti strega ed eretica, e per loro erano insulti – che disastro!
Quando ne capisci la potenza, allora puoi iniziare ad addestrarti a usare quei pensieri e quelle parole, e questa è una vera e propria arte; quando la scuola insegnava a pensare, questo si apprendeva nelle arti liberali del trivium: dialettica, grammatica e retorica. Già solo questo apriva un mondo, rendeva in effetti potenti coloro che sapevano usare la lingua, perché davvero la parola ferisce più della spada.
E poi scopri che la spada della tua lingua può diventare l’albero sacro che ti eleva, l’Yggdrasil su cui Odino digiuna per 9 giorni e 9 notti per ottenere la sapienza delle rune e per sviluppare la visione interiore. Questo è il VRIL, una volta imparato a parlare, s’impara a tacere, con la differenza, rispetto a quando eri bambina, e il silenzio ti veniva imposto, che mentre prima quelle parole spezzate non sapevi dove metterle, adesso sai esattamente dove indirizzarle. Proprio come nel tantra la ritenzione e il rindirizzamento del seme verso l’alto schiude tutti i chakra dal secondo al quindi, e oltre, e anzi, crea un ponte tra il secondo e il quinto, tra la procreazione e la creazione, così la ritenzione della parola, del verbo, dal quinto non ridiscende più al terzo chakra, ad alimentare la rabbia, ma si condensa oltre la corona e da lì crea un ponte verso i mondi altri: Più si tace, più il terzo occhio si potenzia. Più si mantiene il silenzio, l’attenzione e la presenza, più la realtà ci si squaderna davanti agli occhi. Più si concentrano le energie all’interno, più il potere di trasformazione della realtà esterna si accresce, perché nulla accade là fuori che non sia stato pensato sul piano mentale, prima, da qualcuno.
Il Vril accresce l’energia mentale, per questo immaginare significa creare, e sempre per questo,
Silentium est aureum
Il sociologo e filosofo Marshall McLuhan ha studiato a fondo gli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli; la sua celebre interpretazione degli scambi comunicativi, secondo cui “il mezzo è il messaggio” può illuminare, forse a sua insaputa, proprio il senso del VRIL ai giorni nostri. Se davvero il mezzo è il messaggio, se, cioè, il mezzo condiziona a tal punto il mittente del messaggio che già solo la scelta del mezzo (il come, per così dire) modifica radicalmente il messaggio stesso (il cosa), allora noi siamo completamente preda della chiacchiera, perché l’informazione ormai non è più solo un passaggio di nozioni, ma una richiesta di commento. Noi non leggiamo e non ascoltiamo più senza essere già pronti a commentare, sempre, e il più delle volte a sproposito.
E anche se, per assurdo, i social aggiungessero ai “pollici all’insù” una bocca cucita, a significare “senza parole”, sarebbe anche quella una comunicazione che rompe il silenzio. Ecco come la modernità ha ucciso la divinità: privandoci del digiuno e del silenzio
Silentio Deum cole
Di STELLA PICARÒ