Un cacciatorpediniere della Marina degli Stati Uniti, reso invisibile e teletrasportato da Philadelphia a Norfolk nell’autunno del 1943, in un esperimento passato alla storia con il nome di “Philadelphia Experiment”: che cosa c’è di vero in quella che, in apparenza, potrebbe sembrare la trama di un film di fantascienza?
Prima del 1956 nessuno aveva mai sentito parlare del Philadelphia Experiment. Fu nel gennaio di quell’anno che il celebre astronomo e scrittore Morris K. Jessup ricevette una lettera da un certo Carlos Miguel Allende il quale gli raccontava di un esperimento eccezionale, eseguito nel 1943.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, infatti, gli Stati Uniti avevano sviluppato un forte interesse per l’invisibilità di aerei, navi e mezzi, dal momento che, nel caso fosse stata ottenuta questa invisibilità, il vantaggio in campo bellico sarebbe stato decisivo. Stando alle parole di Allende, nell’ottobre del 1943, tramite l’utilizzo di campi magnetici pulsanti, il cacciatorpediniere USS Eldridge e tutto il suo equipaggio sarebbero stati teletrasportati dalla rada di Philadelphia a quella di Norfolk, dove la Eldridge sarebbe quindi apparsa improvvisamente dal nulla per alcuni secondi, venendo avvistata dall’equipaggio della nave cargo SS Andrew Furuseth, a bordo della quale vi era lo stesso Allende che avrebbe visto l’intera scena.
In seguito, Allende compì delle ricerche tra i marinai della USS Eldridge, i quali gli fornirono dettagli su quanto accaduto. Alcuni membri dell’equipaggio erano impazziti durante l’esperimento, altri avevano subito conseguenze fisiche terribili (compresa la combustione), come quanto accaduto a un marinaio che, nella fase di rimaterializzazione a Norfolk, sarebbe ricomparso in un punto diverso della nave, con un pezzo di trave conficcato nella carne. Altri ancora, aggiunge Allende, erano entrati in una sorta di coma dal quale si sarebbero risvegliati mesi dopo, per poi essere tutti congedati per instabilità psichica. Infine, sempre stando alle parole di Allende, alcuni marinai avrebbero sofferto per mesi dei postumi dei campi magnetici ricevuti, al punto da sperimentare anche in seguito episodi di smaterializzazione improvvisa.
Indizi
Di fronte a una storia così estrema e dal sapore fantascientifico (tenuto conto anche dell’anno in cui si sarebbe verificata) occorre necessariamente procedere alla ricerca scrupolosa di elementi oggettivi a supporto.
Il primo giunge da un articolo di un quotidiano dell’area di Philadelphia il quale riportò un fatto insolito: una rissa, in una taverna nella zona portuale di Philadelphia, caratterizzata da una circostanza altamente anomala, vale a dire la sparizione improvvisa di due marinai coinvolti. Alcune cameriere che lavoravano nel locale, infatti, hanno testimoniato che due dei marinai erano svaniti all’improvviso nel nulla… un effetto collaterale dell’esperimento Philadelphia?
Un secondo indizio giunge da un’altra vicenda, strettamente collegata allo stesso Morris K. Jessup. Nella primavera del 1957 egli ricevette una lettera dall’Ufficio per le Ricerche Navali che lo esortava a presentarsi a Washington per discutere di un libro sugli Ufo da lui scritto, intitolato “The Case for the UFO”. Jessup si recò immediatamente nella sede dell’Ufficio per le Ricerche Navali e grande fu la sua sorpresa quando due funzionari gli mostrarono una copia del suo libro, giunta loro per posta in maniera anonima, piena di commenti a margine scritti a mano con la stessa grafia della lettera inviata a Jessup dal signor Allende. Più Jessup esaminava i commenti, più cresceva il suo stupore, dal momento che le annotazioni riguardavano tematiche di cui egli aveva sentito parlare ma di cui non aveva fatto menzione nel libro e che denotavano una profonda conoscenza delle questioni ufologiche. L’aspetto che più incuriosiva Jessup era come mai la Marina fosse interessata ai commenti partoriti da quella che, a prima vista, poteva sembrare una mente malata. La risposta gli giunse implicita leggendo alcuni commenti in cui si faceva diretto riferimento a un esperimento avvenuto nel 1943 in cui sarebbe scomparsa una nave. Molto probabilmente questi commenti non erano sfuggiti ai funzionari che avevano esaminato il libro e, di conseguenza, era stata avviata un’indagine.
Un ulteriore indizio a favore della reale esistenza del Philadelphia Experiment giunge dalla testimonianza di Patrick Macey, informatico e ricercatore. Nel 1977 Macey stava lavorando con un collega e, in un momento di pausa, si misero a parlare di UFO. A un certo punto il collega gli disse che durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre era in Marina, assistette a qualcosa di anomalo, per quanto non collegato agli UFO. Egli si trovava di guardia a una proiezione di materiale audiovisivo classificato, mostrato ad alte cariche della Marina e fu in grado di osservare alcuni spezzoni che ritraevano tre navi. Due fornivano energia a una terza, un cacciatorpediniere, il quale a poco a poco scomparve lentamente in una sorta di nebbia, per poi sparire del tutto alla vista, eccezion fatta per la presenza sull’acqua del solco da essa lasciato. Successivamente, il campo energetico venne spento e la nave riapparve lentamente dalla nebbia. A seguire iniziò una discussione in cui alcuni affermarono che probabilmente il campo era stato tenuto acceso troppo e che a questa circostanza dovevano essere imputati gli effetti collaterali subiti dall’equipaggio. Non solo, qualcuno menzionò anche una sparizione avvenuta in una taverna e il fatto che alcuni fossero impazziti in maniera irreversibile.
Non ultimo l’apporto probatorio fornito dal seguente episodio. Colorado Springs, agosto 1970, James Davis e Allen Huse, due aviatori della vicina base aerea, stanno passeggiando nei pressi del monumento ai caduti della città quando vengono improvvisamente avvicinati da uno strano individuo che interrompe il loro dialogare, chiedendo come stiano e se si trovino bene nell’Aeronautica. A poco a poco i tre iniziano a parlare in maniera fitta, fino a quando il tizio sopraggiunto mostra un identificativo della Marina, affermando di essere stato sottoposto molti anni prima a un esperimento a Philadelphia, ideato per rendere invisibile una nave ma che aveva causato numerosi effetti collaterali sull’equipaggio, di cui egli faceva parte. A seguito di vari problemi, il soggetto in questione sarebbe stato dichiarato mentalmente instabile e congedato.
Considerazioni conclusive
La Marina degli Stati Uniti ha sempre negato l’esistenza del Philadelphia Experiment, ma ciò non deve stupire, dal momento che un progetto di simile portata sarebbe stato altamente secretato.
Esistono però indizi, provenienti da più fonti autonome tra loro, che inducono a ritenere che esso abbia avuto effettivamente luogo. Tuttavia, solo l’eventuale emersione di nuove prove potrà far comprendere meglio i dettagli e le modalità in cui il teletrasporto di un cacciatorpediniere si possa essere realmente verificato.
Di UMBERTO VISANI