Il lettore attento avrà notato che nel precedente articolo, dal titolo “Musica Massonica”, non sono stati inseriti Goffredo Mameli e Michele Novaro, gli autori del Canto degli Italiani, noto oggi come Inno d’Italia. Ciò fu dovuto a fatto che l’articolo precedente era dedicato ai compositori massoni ed alle loro opere dedicate alla Massoneria od ai riti massonici. Invece il Canto degli Italiani, benché nato in tale ambito, era un inno rivoluzionario, rivolto ai patrioti, massoni, carbonari, repubblicani e liberali, per incitarli alla lotta risorgimentale.

Vediamo innanzitutto la vita dei due autori, quindi vedremo come è nato l’inno.

Goffredo Mameli (1827-1849)

Goffredo Mameli dei Mameli, nacque a Genova nel 1827 da un nobile ufficiale della Marina Militare dei Savoia, originario di Cagliari e da una nobile genovese, fu tre volte deputato presso il parlamento subalpino. Cresciuto ed educato in una facoltosa famiglia, ebbe ben presto contatti con la Carboneria e la Massoneria, grazie all’ambiente militare frequentato dal padre.

Brillante negli studi si dilettava nello scrivere poesie. Giovanissimo entrò in contatto con gli ambienti Mazziniani e, quindi, Repubblicani. Nel 1846 partecipò alle manifestazioni in occasione del centenario della cacciata degli austriaci da Genova, il cui eroe Balilla sarà ricordato nell’Inno. In quell’occasione sventolò in piazza il tricolore italiano, che all’epoca era considerato un atto rivoluzionario. Aderì giovanissimo alla Massoneria, forse presentato dal padre stesso e compose molte poesie patriottiche, quali: “Ai fratelli Bandiera”, “Dante e l’Italia” e “Dio e il popolo”, quest’ultima piacque molto al massone Carducci.

Aderì alla Giovane Italia nel 1847 e partecipò ai moti di Genova di quell’anno, per la richiesta di riforme. In quell’occasione compose una poesia, il Canto degli italiani appunto. Scevro da problemi economici, da quel momento si dedicò interamente alla causa dell’unità d’Italia. Nel marzo del 1848, durante la Prima Guerra d’Indipendenza, fu posto a capo di 300 volontari genovesi e li guidò in Lombardia a combattere gli austriaci. Raggiunse Milano che era insorta ove conobbe il massone Nino Bixio; l’esercito piemontese gli conferì il grado di Capitano dei Bersaglieri e combatté sul Mincio.

All’armistizio, tornò a Genova, ove incontrò Garibaldi, divenendone uno dei più fedeli collaboratori. Garibaldi gli assegnò il grado di Capitano del suo esercito. Compose il testo “Inno Militare”, piacque molto a Garibaldi e Mazzini, quest’ultimo lo inviò a Giuseppe Verdi e gli chiese di musicarlo, cosa che il grande maestro fece immediatamente. Inoltre Mameli fu nominato direttore del giornale repubblicano “Il Diario del Popolo”.

Il giornale “Il Diario del Popolo”

Venne organizzata la spedizione a Roma e nel novembre del 1848 seguì l’Eroe dei Due Mondi a Roma. Qui, il 9 febbraio del 1849, sotto gli auspici di Mazzini, venne proclamata la Repubblica Romana ed il pontefice fuggì dall’Urbe Eterna. Mameli fu incaricato di organizzare le truppe volontarie romane. Giunsero le truppe francesi e Borboniche del Regno delle Due Sicilie e la lotta fu inevitabile. Benché malato, era colpito da una febbre persistente, forse malaria, combatté in prima linea contro i francesi, ed il 3 giugno fu ferito ad una gamba, che dovette essere amputata. Morì di cancrena il 6 luglio del 1849. I suoi resti mortali sono tumulati nell’ossario del Museo del Gianicolo.

Sempre osteggiato dalla Chiesa in quanto nemico del potere temporale del Papa, fu anche accantonato dai savoia in quanto fervente repubblicano. Curiosamente, fra il 1943 ed il 1945, durante la guerra civile in Italia, vi furono tre unità militari a lui denominate: due delle Brigate Giustizia e Libertà, che come abbiamo visto in altra occasione erano di ispirazione repubblicana e liberale; una era operante ad Arezzo e la seconda a Treviso. La terza unità era di Bersaglieri della Repubblica Sociale Italiana, repubblica che nella sua breve vita pubblicò anche un francobollo dedicato a Mameli.

Michele Novaro (1818-1885)

Michele Novaro. Nacque a Genova nel 1818. Musicista e compositore, nel 1847 viveva a Torino ed era Tenore e Maestro del Coro del Teatro Carignano. Fervente liberale e patriota, musicò diversi inni patriottici, fra i quali un inno del poeta Giuseppe Bertoldi. Compose “Una battaglia”, opera per orchestra, “Viva l’Italia”, musicò “Il canto degli Italiani” e “Suona la tromba” entrambi su testo di Mameli. Si impegnò in continue raccolte di fondi per finanziare le attività rivoluzionari di Garibaldi. In quegli anni fu amico di Angelo Brofferio, anche lui illuminista, anticlericale e antimonarchico; massone e fautore della libertà di stampa, questa era un’idea alquanto rivoluzionaria all’epoca.

Novaro tornò a Genova nel 1864 e fondò la Scuola Corale Popolare, in cui insegnava canto gratuitamente. Morì solo e con difficoltà economiche nel 1885, ma i suoi fratelli massoni non si dimenticarono di lui e lo fecero seppellire nel cimitero monumentale di Genova Staglieno, accanto alla tomba di Mazzini.

Stampa dello spartito (1860) pubblicato da Ricordi, Milano

La leggenda narra che un giorno, a Torino, in un salotto borghese erano radunati alcuni patrioti intenti a cantare inni rivoluzionari quali “Del nuovo anno già l’alba primiera” di Meucci di Roma, musicato da Magarazzi e “Colla coccarda azzurra sul petto” di Bertoldi, musicata da Rossi. Ad un certo momento giunse il pittore Ulisse Borzolino e presentò un foglio su cui era scritto il Canto degli Italiani di Mameli. Venne letto a gran voce, quindi Novaro si pose al cembalo e provò a musicarlo. Composizione che terminò nei giorni successivi sul proprio pianoforte.

L’inno divenne immediatamente noto fra i patrioti, ma venne identificato come repubblicano dai Savoia e quindi anche con l’unità d’Italia l’inno nazionale divenne la “Marcia Reale”. Ciò nonostante il patriota Giuseppe Verdi, nel suo “Inno delle Nazioni, del 19862, affiancò il “Canto degli Italiani” all’inglese “God Save the Queen” ed alla Marsigliese francese.

Terminata la guerra, a seguito del referendum che dichiarava decaduta la monarchia, in parlamento si discusse su quale doveva essere il nuovo inno nazionale, in quanto non era più utilizzabile la “Marcia Reale”. Il Ministro della Difesa, il Repubblicano e Massone Cipriano Facchinetti, già facente parte dell’organo direttivo dell’istituzione, propose il Canto degli Italiani, la sinistra (Socialisti e Comunisti) proposero l’Inno a Garibaldi. La DC, portavoce della Chiesa Cattolica, si oppose con fermezza ad entrambi, senza sapere cosa proporre in alternativa. Il 12 ottobre del 1946, fondata la Repubblica Italiana, il Canto degli Italiani fu nominato “Inno Nazionale Provvisorio” per l’opposizione della Chiesa e non fu inserito nella Costituzione. Il Ministro Facchinetti, per far approvare l’inno, anche se in maniera provvisoria, dichiarò che le truppe del neonato Stato Italiano, non potevano giurare fedeltà in assenza di un inno.

Negli anni furono molte le iniziative parlamentari per trasformare l’inno da provvisorio a definitivo, ma tutte fallirono, sino al 4 dicembre 2017, che con il diminuito potere della Chiesa, con la Legge 181/17, finalmente, l’inno divenne “de iure”, ossia “di legge”, cancellando la vergogna di essere l’unica nazione al mondo ad avere un inno provvisorio.

Stampa popolare dell’inno del 1910
Notare: l’Italia turrita, la Vittoria alata, i fulmini di Zeus ed il Pentagramma bianco massonico

Vogliano adesso illustrare i vari versetti dell’inno.

Fratelli d’Italia

Richiamo ai fratelli massoni, ossatura dei patrioti e rivoluzionari risorgimentali

L’Italia s’è desta

L’Italia si è (finalmente) destata dal torpore

Dell’elmo di Scipio

Si è cinta la testa con l’elmo di Scipione (l’Africano), il condottiero romano che sconfisse Cartagine, nemica storica di Roma.

S’è cinta la testa.

Dov’è la Vittoria

La figura retorica della Vittoria, identificata come una donna.

Che porga la chioma

Il porgere la chioma, ossia spostare su un lato i capelli, scoprendo il collo era atto di sottomissione, in quanto il vincitore poteva più agevolmente decapitare la persona sconfitta

Ché schiava di Roma

Iddio la creò

Stringiamoci a coorte

La coorte era una unità militare dell’antica Roma

Siam pronti alla morte

Esortazione al valore militare in battaglia

L’Italia chiamò

Noi siam da secoli

Per secoli l’Italia è stata dominata dalle altre potenze europee, ciò era dovuto alle divisioni interne ed alla mancanza di sentirsi un unico popolo.

Calpesti, derisi,

Perché non siam popolo

Perché siam divisi

Raccolgaci un’unica

Si auspica che tutti gli italiani si raccolgano sotto un’unica bandiera (il tricolore) e che formino un unico popolo (speme, discendenza da un unico seme)

Bandiera, una speme

Di fonderci insieme

Già l’ora suonò.

Stringiamoci a coorte

Ritornello

Siam pronti alla morte

L’Italia chiamò

Uniamoci, amiamoci

Auspicio di concordia fra i vari popoli italici. Unione che sarà favorita dal Signore. Riferimento al mazziniano “Dio e Popolo”. Si rileva il concetto anticlericale del rapporto diretto fra Dio ed il popolo, non intermediato dalla Chiesa.

L’Unione, e l’amore

Rivelano ai popoli

Le vie del Signore

Giuriamo far libero

I patrioti raccolti nella coorte, giurano di liberare la Patria dalla dominazione straniera.

Il suolo natìo:

Uniti per Dio

Uniti nel nome di Dio, sono convinti di non essere sconfitti. Nuovamente abbiamo un riferimento a Dio senza l’intermediazione della Chiesa.

Chi vincer ci può?

Stringiamoci a coorte

Ritornello

Siam pronti alla morte

L’Italia chiamò

Dall’Alpi a Sicilia

In tutta Italia si sconfigge l’invasore; il riferimento è alla battaglia di Legnano (1176) ove le truppe della Lega Lombarda sconfissero gli imperiali di Federico Barbarossa.

Dovunque è Legnano

Ogn’uomo di Ferruccio

Ogni uomo (patriota) ha il coraggio e la forza del condottiero Francesco Ferrucci, che nel 1530 fu ucciso da Fabrizio Maramaldo, che era al servizio dei francesi.

Ha il core, ha la mano

I bimbi d’Italia

Gianbattista Perasso, detto Balilla, con una sassaiola diede il via alla rivolta di Genova, che scacciò gli austriaci dalla città. Indicando quindi il coraggio di tutti i ragazzini d’Italia.

Si chiaman Balilla

Il suon di ogni squilla

Il riferimento è a Pier Capponi, ambasciatore di Firenze, che alla minaccia di Re Carlo VIII di Francia di far suonare le trombe, ossia ordinare l’attacco di Firenze, Capponi rispose: “noi suoneremo le nostre campane”, ossia chiameremo il popolo a difendere la città.

I Vespri suonò

Il riferimento è ai Vespri Siciliani, che al richiamo delle campane la Sicilia insorse e cacciò gli Angioini.

Stringiamoci a coorte

Ritornello

Siam pronti alla morte

L’Italia chiamò

Son giunchi che piegano

Le canne (bastone debole) piegano (sconfiggono) le spade vendute. Immagine retorica di un esercito non professionista che sconfigge i veterani, al soldo dell’invasore.

Le spade vendute:

Già l’Aquila d’Austria

Lo stemma dell’Impero d’Austria era composto da un’aquila bicefala. Perdere le penne significa essere sconfitta.

Le penne ha perdute.

Il sangue d’Italia,

Il riferimento è alle guerre della Rivoluzione Francese, quando l’Italia e la Polonia cercarono l’indipendenza. Ottenuta effimeramente durante l’impero napoleonico. Poi l’Austria e la Russia Zarista (cosacco) ripristinarono gli antichi confini.

Il sangue Polacco,

Bevé col Cosacco,

Ma il cor le bruciò.

Stringiamoci a coorte

Ritornello

Siam pronti alla morte

L’Italia chiamò

Di MARCO ENRICO DE GRAYA

Un pensiero su “L’INNO D’ITALIA di MARCO ENRICO DE GRAYA”

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