Ci è stato insegnato che i miti antichi erano racconti eziologici, ossia storie nate per spiegare in maniera immaginifica eventi a cui la scienza e le conoscenze tecniche delle civiltà antiche non riuscivano a dare una spiegazione logica. Così, ad esempio, i fenomeni atmosferici legati ai temporali, come tuoni e fulmini, venivano attribuiti a un dio iracondo e suscettibile che scagliava folgori sulla Terra ogni volta che gli uomini violavano le sue leggi: così agivano Thor, Zeus e Juppiter. Oppure l’affermarsi delle nuove tecnologie veniva spiegato miticamente come un dono degli dei: così in Egitto dal nomadismo si sarebbe passati alla vita stanziale solo dopo che Iside ebbe insegnato agli uomini l’agricoltura; gli antichi Germani avrebbero appreso la sacra scrittura runica da Odino, e presso i Greci la coltivazione della terra era strettamente legata al benvolere delle dee Demetra e Persefone, protettrici delle messi, alle quali erano dedicati i riti misterici celebrati ad Eleusi.

Ma… se il mito non avesse solo carattere eziologico, e trasmettesse anche significati occulti? Concentriamo l’attenzione proprio sul mito del ratto di Persefone e indaghiamone il simbolismo. Si narra che Persefone, detta anche Kore Kosmou, la Fanciulla Cosmica, un giorno stesse correndo in un prato presso il lago di Pergusa, vicino a Enna, cogliendo fiori colorati con le compagne, tra cui vi erano alcune Ninfe e le dee Atena e Diana. Alla vista di un candido narciso, la fanciulla, figlia di Demetra, si allontanò dalle altre e appena ebbe reciso il fiore, la Terra si spalancò e ne uscì Plutone su una quadriga dorata trainata da 4 cavalli neri. L’orribile dio degli Inferi, sia per il suo aspetto, sia per il luogo in cui regnava, non riusciva a trovar moglie, e così aveva ottenuto da Zeus il permesso di rapire la bellissima Persefone e farne la sua sposa e la sovrana dell’Ade.

Non trovando più la figlia, Demetra la cercò ovunque per 9 giorni e 9 notti, e il decimo si ritirò presso il tempio di Eleusi e non permise più che la Terra offrisse all’umanità i suoi frutti, sicché gli uomini vennero decimati dalla prolungata carestia. Impietosito, Zeus inviò a Demetra il suo messaggero Mercurio per convincere la dea a restituire all’umanità i doni dell’agricoltura, ma essa acconsentì solo a patto di riavere con sé sua figlia. Zeus dovette accogliere la richiesta, ponendo come condizione che Persefone non avesse mangiato nulla mentre si trovava nell’Ade. Plutone, conoscendo la legge infera, che impedisce di uscire dal Tartaro a coloro che si siano nutriti del cibo degli Dei, accettò di rimandare Persefone da sua madre, ma prima le fece mangiare 3 chicchi di melagrana. Ascalfo, che era presente sia quando Plutone aveva offerto la melagrana alla sua sposa sia quando Zeus aveva concesso a Demetra di riprendersi la figlia, non seppe tacere e denunciò Persofone, e per la sua imprudenza fu trasformato in gufo, uccello notturno per eccellenza, mentre Demetra dovette accontentarsi di riavere con sé la figlia solo 6 mesi all’anno, mentre per gli altri 6 Persefone avrebbe regnato negli Inferi.

Secondo l’interpretazione eziologica, il mito spiegherebbe il ciclico alternarsi delle stagioni, in quanto in primavera Demetra si prepara ad accogliere la figlia, che ritorna dal suo semestrale soggiorno nell’Ade. Fiori e frutti sarebbero gli ornamenti con cui la madre abbellisce la Terra per celebrare il ritorno della figlia, mentre lo sfiorire e il rinsecchirsi della vegetazione rappresenterebbero il dolore della madre costretta a separarsi da Persefone, che ritorna agli Inferi.
C’è però un’altra possibile interpretazione del mito. Secondo i Filosofi Ermetici, infatti, i miti sono stati creati per velare i procedimenti alchemici che descrivono le fasi della Grande Opera, perciò favole, fiabe e altre allegorie sarebbero il veicolo attraverso cui gli Alchimisti hanno tramandato il loro sapere senza che i profani potessero comprenderlo e farne cattivo uso. Solo i veri Adepti, infatti, possiedono la conoscenza che schiude il significato esoterico di quei racconti. Rileggiamo allora il mito in chiave ermetica illustrando prima brevemente le fasi dell’Opus.
Occorre innanzitutto chiarire che l’Opera Alchemica è un processo interiore: tutto ciò che gli Alchimisti hanno espresso in termini fisici o chimici, attraverso le allegorie dei pianeti, dei metalli e mediante altri simboli, si riferisce a una realtà spirituale, pertanto le trasformazioni esteriori, come la capacità di trasmutare il piombo in oro, dipendono dal fatto che l’Alchimista ha compiuto quella trasformazione prima di tutto in sé, divenendo egli stesso Pietra Filosofale e liberandosi dal piombo che appesantisce lo spirito dell’uomo comune. Detto ciò, sarà utile nominare brevemente i capisaldi della Grande Opera. Dopo essersi messo in preghiera e in meditazione, l’Adepto metterà la Materia Prima (triplice e una, in quanto composta da Zolfo, Sale e Mercurio) nell’Athanor, o forno filosofico; manterrà il fuoco sempre alla giusta temperatura, variandola a seconda delle fasi (che corrispondono ai 7 pianeti, ai 7 metalli e ai 7 colori, ma di cui le principali sono tre: Nigredo, o Opera al Nero, Albedo o Opera al Bianco e Rubedo o Opera al Rosso); al comparire dei vari colori in successione, egli si rallegrerà dei cambiamenti della Materia, che si purifica, passando dal grezzo piombo della Nigredo, attraverso lo stagno, il ferro, il rame (nella fase di Citrintas, o Cauda Pavonis), fino al Mercurio, all’Argento, nell’Albedo, per diventare infine l’Oro Rosso da cui verranno estratti la Pietra Filosofale, l’Oro Potabile, l’Elisir di Lunga Vita e la Panacea Universale.

Si è detto dunque che la Materia Prima della Grande Opera è triplice e una, così come triplice è la manifestazione della divinità descritta all’inizio del mito: la dea Persefone infatti corre in un prato fiorito con altre due divinità: Diana e Atena. Il candore del narciso che la fanciulla coglie non solo è promessa di successo dell’Opera, in quanto anticipa la fase al Bianco, ma allude anche alla purezza della Materia, requisito essenziale affinché la trasformazione si compia. E Plutone sceglie Kore proprio perché lei è la fanciulla cosmica che vive in armonia con la Natura, ne è infatti personificazione.
Plutone, nera divinità infera, simboleggia la prima fase dell’Opera non solo per la cromia. Egli emerge infatti dalla fenditura della Terra ad indicare che la Materia dev’essere ricavata scavando dentro sé stessi (1). Plutone è caratterizzato anche dal carro dorato trainato da 4 cavalli neri. Il carro, oltre a rappresentare l’Athanor fisica, ossia il forno e il vaso in cui verrà cotta la materia, contiene il simbolo della Materia stessa, cioè il sulfureo Plutone, che lentamente rilascerà l’Oro filosofico. Il carro è inoltre trainato da 4 cavalli. Il numero allude ancora una volta alla composizione della Materia, che oltre che triplice e una, apprendiamo ora essere quadruplice, in quanto composta dai 4 elementi: Terra, Acqua, Aria e Fuoco, a significare che essa è completa in sé, e ha “tutto ciò che occorre”. I cavalli, inoltre, sono stati scelti dai Filosofi per simboleggiare “le parti volatili della Materia per la loro leggerezza nella corsa” (2). E in questo caso essi indicano al Saggio la prima operazione da portare a termine; la volatilizzazione della Materia, il Solve, durante cui la Materia si libererà delle parti pesanti e diverrà volatile e mercuriale. Molto a proposito, dunque, le volatili fanciulle sono impegnate nell’attività della corsa prima dell’irrompere sulla scena di Plutone.

Approfondendo l’analisi noteremo altri simboli: in superficie troviamo aria tiepida, un lago e un verde prato fiorito, e a tal riguardo leggiamo nel Dialogo di Mercurio, dell’Alchimista e della Natura che la situazione ideale per compiere l’Opera è un luogo “all’aria aperta, in un certo prato, in un certo giorno sereno. […] Perciò bisogna essere nella Natura, e il prato indica il color verde dello spirito universale” (3). Ma gli Alchimisti ci ricordano anche che la Materia deve morire, ossia perdere la forma, simboleggiata dal corpo, per acquistare in seguito il potere vegetativo e rinascere in una forma migliore (4). Per questo Persefone deve diventare sovrana del Regno dei Morti.

Il mito presenta a questo punto un altro simbolo onnipresente nei trattati ermetici: le nozze. Infatti “nessun termine è usato negli scritti dei Filosofi più di questo. Essi dicono che bisogna maritare il Sole con la Luna, la madre col figlio, la sorella col fratello; e tutto questo non è altro che l’unione del fisso e del volatile, che si deve fare nel vaso [nel palazzo di Plutone] per mezzo del fuoco [infernale]. Tutte le stagioni sono adatte per far questo matrimonio; ma i Filosofi raccomandano particolarmente la primavera, quando la Natura è più disposta alla vegetazione” (5), infatti Plutone elegge a sua sposa proprio il nume tutelare della Primavera. Ci troviamo quindi nell’Inverno filosofico, corrispondente al periodo di latenza dell’Opera, durante il quale l’Alchimista non deve far altro che mantenere il fuoco dolce e continuo affinché la Materia si cuocia e il vaso, simboleggiato da Cerbero, non si spacchi (6). L’inattività dell’Adepto nel mito è indicata da Demetra, che dopo aver cercato la figlia su tutta la Terra per 9 giorni e 9 notti, a testimoniare le difficoltà della prima fase, si chiude nel tempio di Eleusi e lascia che la Natura muoia, ossia non dia più frutti.

Al termine di questa fase la Materia si è totalmente volatizzata, infatti a questo punto il mito introduce la figura di Mercurio, inviato da Zeus a Demetra affinché quest’ultima faccia tornare la Natura a vivere. Il volante-volatile messaggero divino sorvola le sciagure degli uomini, che alludono ancora una volta alle difficoltà della prima fase, e raggiunge Demetra; torna poi da Zeus recando il messaggio con la condizione imposta dalla dea, e vola una terza volta da Demetra, per comunicarle la decisione del padre degli dei. Tre voli, come tre sono le sublimazioni necessarie affinché la Materia si spogli delle sue impurità. Ora Persefone può tornare sulla Terra. Demetra adorna la Natura di fiori colorati, che simboleggiano la Citrinitas, o Coda di Pavone, e in concomitanza con questa fase l’Alchimista innalza la temperatura, il Sole infatti intensifica il suo calore e si prepara all’ultimo fuoco, quello della canicola estiva [e Cerbero è per l’appunto un cane]. Il mito però accenna solo fugacemente a questa fase tramite i tre chicchi della rossa melagrana che Persefone mangia quando è ancora nell’Ade (7). Un’ultima curiosità: Ascalfo, delatore dell’infrazione compiuta dalla dea, viene trasformato proprio in un notturno gufo, a ribadire che il mito è incentrato sulla prima fase, ma soprattutto a ricordare all’alchimista che il punto principale su cui lavorare è l’introspezione spirituale e la ricerca interiore. E’ solo dall’Inverno che può nascere la splendente Primavera. E’ solo nel silenzio che risuona l’Armonia della Natura.

NOTE
1 Alla necessità di questa ricerca introspettiva allude anche l’acronimo V.I.T.R.I.O.L. “Visita Interiora Terrae – Rectificando Invenies Occultum Lapidem”, cioè visita l’interno della terra, rettificando (ossia passando attraverso le varie fasi dell’Opus) troverai la pietra segreta.
2 Dom. Antonio Giuseppe Pernety, Benedettino della Congregazione di San Mauro, Dizionario Mito-Ermetico. Allegorie favolose dei Poeti, metafore, enigmi e termini barbari dei Filosofi Ermetici, riproduzione, pag. 64.
3 Eugène Canseliet, L’Alchimia spiegata sui suoi testi classici. Roma, Edizioni Mediterranee, 1985, pag. 76.
4 Morte degli Elementi è il cambiamento della forma della materia, come per esempio quando diventa nera dopo la soluzione: è quello che i Filosofi chiamano conversione degli elementi. […] La corruzione di un corpo è il principio della generazione di un altro; è infatti dimostrato che non vi è generazione che non sia preceduta da mortificazione”. Pernety, op. cit., pag. 249.
5 Ivi, pag. 223.
6 “I Filosofi hanno immaginato che un cane a tre teste facesse la guardia alla porta dell’Inferno, ove era incatenato con triplice catena. Dunque per Cerbero bisogna intendere la materia della Pietra Filosofale composta di sale, zolfo e mercurio, racchiuso nel triplice vaso dei Filosofi, che sono le tre catene leganti Cerbero, oppure che la materia è essa stessa il palazzo di Plutone Dio dell’Inferno, e il triplice vaso è il cane a tre teste che guarda la porta del palazzo e ne impedisce l’entrata. Quest’ultima spiegazione è la più verosimile, poiché è detto che Cerbero vomitava fuoco, il che è proprio dei fornelli. Il fuoco della Filosofia Spagirica è il fuoco della Natura, e riscalda senza bruciare. Chi conosce questo fuoco e il modo di graduarlo, è molto avanzato nella Scienza Ermetica”. Ivi, pag.66.
7 Ivi, pagg. 41 e 318.

Articolo apparso in MONDI A CONFRONTO: I MITI – Decima uscita della rivista del Centro Culturale MIR – 14 MARZO 2014

di Stella Picarò

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