Come ho più volte evidenziato nei miei saggi, la vera storia del Rinascimento deve essere ancora pienamente scritta, poiché quello che la stragrande maggioranza degli storici ignora (o talvolta finge di ignorare) è che quella grande stagione che, partendo dall’Italia come un moto inarrestabile, dilagò in tutta Europa, determinando, in aperta sfida a Santa Romana Chiesa, al Tomismo e agli steccati di una certa Scolastica pseudo-aristotelica, quella rinascita della Filosofia platonica, della Maieutica, delle Arti, delle Scienze e delle Coscienze, condizionando in maniera tangibile e irreversibile tutti i secoli a venire e aprendo la strada all’Età Moderna, fu tutt’altro che un frutto del caso. Il Rinascimento fu, infatti, l’attuazione di un plurisecolare progetto portato avanti da antichi ordini misterici ed iniziatici pre-cristiani, entrati nell’ombra sul finire del IV° secolo con la forzata imposizione teodosiana della dottrina paolina e sopravvissuti, alla stregua di un silente fiume carsico, per tutto il corso del Medio Evo, fino a riaffermare, con forza e con vigore, la loro presenza e identità alle soglie del XV° secolo. Un progetto che è stato con forza e determinazione attuato anche – e soprattutto – grazie all’affermazione politica ed economica di un novero di famiglie iniziatiche che a tali ordini e tradizioni erano a doppio filo legate. Mi riferisco ai Medici, agli Este, ai Gonzaga, ai Montefeltro, ai Da Malatesta, ai Da Varano, etc, etc.

La questione della sopravvivenza e della perpetuazione in clandestinità, in forma organica e organizzata, di alcuni filoni della Tradizione Misterica pre-cristiana, e di quella Eleusina in particolare, dall’antichità fino ad oggi attraverso un filo ininterrotto, non è assolutamente – come è stato erroneamente da alcuni sostenuto – una mera ipotesi. Si tratta di vicende storiche documentabili che hanno del resto interessato anche altre Tradizioni “pagane”, in primis il Pitagorismo (Jean Marie Ragon, che fu sia un Libero Muratore che un Iniziato eleusino, ha notoriamente documentato, ad esempio, tutta la storia della perpetuazione dell’Ordine Pitagorico, dal V° secolo d.C. fino alla seconda metà del XIX° secolo), l’Eleusinità Orfica (che si è tramandata segretamente anche all’interno di alcuni ordini monastici, fra cui i Camaldolesi) e altre realtà quali i culti misterici egizi di matrice tolemaica (i Misteri di Iside e Osiride e quelli di Serapide) e l’Ermetismo. Si tratta di vicende storiche che in Massoneria, a determinati livelli, sono ben note, anche se – incomprensibilmente – anche in tali ambiti non se ne parla molto. Ma, parallelamente, si tratta di una questione che, in un ambito storico ed accademico quale quello occidentale, pervaso e inevitabilmente segnato nel profondo da due millenni di imperante cultura giudaico-cristiana, ha sempre rappresentato una sorta di “tabù”.

Scuola Italiana del XVI° secolo: Ritratto di Nikolaus Kopernicus(Collezione Privata)
Scuola Italiana del XVI° secolo: Ritratto di Nikolaus Kopernicus
(Collezione Privata)

Molti grandi storici e ricercatori, fra i quali possiamo annoverare Edgar Wind, Eugenio Garin, Frances Yates, Károly Kerényi, Mircea Eliade, Walter Burkert, si sono spesso trovati davanti alla verità, intravedendone la portata. Ma, rendendosi conto che potevano ritrovarsi ad avere a che fare con un quadro d’insieme non solo estremamente complesso ma anche potenzialmente esplosivo e pericoloso – un quadro d’insieme che probabilmente travalicava non la loro comprensione, bensì i limiti stessi della loro formazione culturale e della loro forma mentis – hanno preferito non affrontarlo frontalmente, scegliendo più comodamente di aggirarlo. Ma – la Storia ce lo insegna – una montagna non la si può scalare limitandosi a dare colpi di piccozza alle sue falde e ignorandone la cima, come del resto il Sultano Mehmet II° non ha conquistato le poderose mura di Costantinopoli praticando con un trapano manuale piccoli forellini sul loro basamento!

In particolare, Frances Yates e Eugenio Garin questa simbolica vetta sono riusciti a scorgerla, ma, per tutta una serie di ragioni solo a loro note (ma che noi possiamo legittimamente intuire), hanno deliberatamente scelto di non scalarla del tutto, preferendo adagiarsi sui suoi contrafforti. La Yates, valente studiosa ma con alcuni limiti interpretativi, si è adagiata su un contrafforte chiamato Ermetismo. E vi si è adagiata talmente bene che ha finito per vedere Ermete Trismegisto e la sua dottrina un po’ ovunque, interpretando in chiave ermetica scritti, vicende e fatti storici che con l’Ermetismo in realtà niente (o comunque poco) hanno mai avuto a che fare, o bollando come “ermetisti” grandi personaggi e iniziati del passato che in realtà seguivano e praticavano ben altre dottrine, da quella Pitagorica a quella Eleusina.

Eugenio Garin ha invece, a mio parere, – e lo si intuisce chiaramente dai suoi libri – ben compreso l’altezza e le dimensioni della vetta che si proponeva di scalare, ma ne ha anche compreso l’intrinseca pericolosità. Tradotto in termini meno metaforici, ha saputo pienamente comprendere la realtà della sopravvivenza in forma organica e organizzata della Tradizione Misterica pre-cristiana attraverso il Medio Evo e il Rinascimento, ma ha anche compreso quanto il riportare alla luce del tutto una simile realtà potesse mettere a repentaglio la sua carriera universitaria e la sua reputazione di accademico. Una libera scelta, la sua (anche se discutibile), per rimediare in parte alla quale ha comunque voluto inserire nei suoi numerosi saggi sull’Umanesimo e sul Rinascimento dei fugaci ma chiari segnali che attestano quanto avesse realmente compreso la questione.

E, come è quindi da riscrivere l’autentica storia del Rinascimento, lo è anche quella di molti dei suoi principali protagonisti. Tra questi vi è indubbiamente la straordinaria figura di Niklas Koppernigk, conosciuto dai Polacchi come Mikołaj Kopernik, ma meglio noto alle nostre latitudini nella oscenamente italianizzata forma di Niccolò Copernico. Stiamo parlando di quel grande astronomo, matematico, giurista, medico e (suo malgrado) canonico cattolico divenuto celebre per aver propugnato, difeso e alla fine definitivamente promosso l’evidenza del sistema eliocentrico contro il sistema geocentrico fino ad allora sostenuto da buona parte della cultura europea.

Jan Matejko: Astronom Kopernik, czyli rozmowa z Bogiem, 1873(Kraków, Collegium Novum, Uniwersytet Jagielloński)
Jan Matejko: Astronom Kopernik, czyli rozmowa z Bogiem, 1873
(Kraków, Collegium Novum, Uniwersytet Jagielloński)

Nato a Toruń, nella Prussia Reale, il 19 Febbraio del 1473, Niklas Koppernigk non si considerava né tedesco né polacco, ma prussiano. Suo padre era un mercante di lingua Tedesca, nato e cresciuto a Cracovia da una famiglia originaria di Koperniki, un villaggio nel distretto di Nysa (in Slesia), mentre la madre, Barbara Watzenrode, era una nobildonna di ascendenza tedesca, nata e cresciuta a Thorn da un illustre casato originario di Schweidnitz. Rimasto orfano di entrambi i genitori, venne adottato insieme ai suoi fratelli dallo zio materno, Lucas Watzenrode, che nel 1489 venne nominato vescovo di Warmja. Nel 1491 entrò all’Università di Cracovia, dove conobbe il matematico Jacob Köbel, con cui mantenne i rapporti anche negli anni successivi, come riportato dal suo biografo, Simon Starowolski, nel 1627. Di questo periodo, e del suo approccio all’Astronomia, ci restano alcune sue entusiastiche descrizioni in testi oggi raccolti nella biblioteca di Uppsala. Dopo quattro anni e un breve soggiorno a Toruń, si trasferì in Italia, dove studiò Diritto presso l’Università di Bologna ed ebbe come maestro anche il noto umanista e grecista Antonio Urceo, in stretto contatto con Agnolo Poliziano.

A Bologna Niklas ebbe modo di conoscere anche il celebre astronomo Domenico Maria Novara, che ne fece il suo allievo e uno dei suoi più stretti collaboratori. Sotto la sua guida, mentre studiava Diritto Civile a Ferrara, fece le prime osservazioni astronomiche nel 1497. Novara era notoriamente anche filosofo neoplatonico e un iniziato e molto probabilmente fece conoscere al giovane allievo la teoria dell’armonia universale, che non era tanto un modello matematico quanto piuttosto una visione spiritualista del cosmo che avrà forte influenza nella teoria eliocentrica del genio polacco.

Nel frattempo, su insistenti pressioni dello zio, che nel frattempo era stato mominato vescovo, Niklas si fece canonico, entrando nella Congregazione riformata dei Canonici Agostiniani, ma soltanto nel 1501 sarebbe andato a “prendere servizio” a Frauenburg (oggi Frombork), ma vi si trattenne per il solo tempo necessario a ottenere il permesso di tornare in Italia al fine di completare la sua formazione. Nel frattempo, prima di rientrare in Polonia, nell’estate del 1500 si recò a Roma, in occasione dell’anno giubilare indetto dal Papa Alessandro VI°. Nell’Urbe ebbe modo di osservare un’eclissi di Sole e tenne lezioni di Astronomia e di Matematica.

Tornato in Italia dopo il suo breve soggiorno polacco, si iscrisse a Padova alla Facoltà di Medicina, per poi cambiare indirizzo di studi e trasferirsi a Ferrara.

Durante i suoi soggiorni italiani imparò il Greco, riuscendo così a leggere in lingua originale le opere degli autori classici, in particolare quelle di Tolomeo, uno dei padri del modello geocentrico. Pubblicò anche una traduzione in Latino delle epistole morali del grande storico bizantino Teofilatto Simocatta, vissuto al tempo dell’Imperatore Eraclio (VII° secolo). Nel 1503 si laureò in diritto canonico all’Università degli Studi di Ferrara e si suppone che lì abbia letto gli scritti di Platone e di Marco Tullio Cicerone circa le opinioni degli antichi sul movimento della Terra. A Ferrara dunque si ipotizza che possa avere avuto la prima illuminazione per lo sviluppo delle sue intuizioni. Dal 1504 cominciò infatti a raccogliere le sue osservazioni e le riflessioni che stavano per portarlo a formare la sua teoria.

Sempre a Ferrara dovette entrare in contatto con dei circoli pitagorici, ricevendo plausibilmente una regolare iniziazione. L’Ordine Pitagorico, ben radicato in diverse città italiane fin dai tempi di Giorgio Gemisto Pletone, era presente anche nella dotta città estense, che fu notoriamente una delle culle dell’Umanesimo e del Rinascimento.

Si rifletta su queste celebri affermazioni del grande astronomo e iniziato prussiano:

«Nel centro si trova il Sole; infatti, chi, in questo tempio bellissimo, potrebbe porre questa splendida luce in un altro o miglior luogo dal quale essa possa illuminare il tutto? Perciò taluni, non a torto, lo definiscono faro del mondo, altri mente, altri ancora guida. Trismegisto lo chiama il dio visibile, l’Elettra di Sofocle lo definisce l’onniveggente. E in realtà il Sole, posto su un trono regale, dirige la circostante famiglia dei pianeti. Né la Terra sarà privata dai servigi della Luna, bensì, come dice Aristotele nel libro sugli esseri viventi, la Luna presenta la maggior parentela con la Terra. Tuttavia la Terra concepisce dal Sole e ne viene annualmente fecondata. Troviamo dunque in quest’ordine una mirabile armonia del mondo e una attendibile correlazione del movimento e delle dimensioni delle orbite, quali non possono diversamente trovarsi».

Andreas Cellarius: Scenografia del sistema mondiale copernicano (Tavola 5 della Harmonia Macrocosmica, 1708)
Andreas Cellarius: Scenografia del sistema mondiale copernicano (Tavola 5 della Harmonia Macrocosmica, 1708)

Non per niente, come ha osservato Paolo Cortesi in un suo articolo sulla rivista Nexus (Paolo Cortesi: Copernico, il genio ermetico del cielo. Articolo pubblicato il 25 Ottobre 2019 su https://nexusedizioni.it.), lo stesso Galileo Galilei quando nel suo trattato Dialogo sui massimi sistemi scrive della teoria eliocentrica copernicana la chiama «opinione pitagorica». E il primo autore che Copernico cita per dare valore alla sua teoria è Ermete Trismegisto, il padre del pensiero ermetico occidentale, mitico e mitizzato personaggio ispirato direttamente dal Dio egizio Thot, colui che rivela i segreti della natura e dell’anima. Un personaggio a cui è stato attribuito un celebre e voluminoso corpus di testi di natura iniziatica, ascetica, spirituale, magica ed alchemica che tanto ha influito sul pensiero rinascimentale, soprattutto dopo la sua parziale traduzione dal Greco effettuata da Marsilio Ficino per conto di Cosimo de’ Medici.

Non a caso il grande esoterista, mago, filosofo ed alchimista rinascimentale tedesco Heinrich Cornelius Agrippa Von Nettesheim (1486-1535), meglio noto in Italia come Cornelio Agrippa, nella sua fondamentale opera De Occulta Philosophia (che mirabilmente venne commentata dal Libero Muratore ed Iniziato pitagorico Arturo Reghini), in cui ha esposto in modo sistematico il pensiero ermetico del Rinascimento, volle dedicare al Sole parole che appaiono sorprendentemente simili a quelle di Copernico:

«Il Sole rispande su tutte le cose la sua luce, che distribuisce non solo nel cielo e nell’aria, ma anche sulla terra e nel più profondo dell’abisso. Quanto noi abbiamo di buono, dice Giamblico, lo dobbiamo al Sole, sia direttamente, che indirettamente, per il tramite degli altri corpi celesti. Eraclito lo chiama la sorgente della luce celeste e molti platonici hanno detto che l’anima del mondo risiede principalmente nel Sole, da dove distribuisce la vita, il sentire e il moto dell’universo intero. Perciò gli antichi naturalisti l’hanno collocato nel bel mezzo dei pianeti e gli Egiziani nel mezzo del mondo (…). Tra gli altri astri esso è l’immagine del supremo principio, la vera luce dell’un mondo e dell’altro, il terrestre e il celeste, e il simulacro perfetto della stessa divinità (…). Come un re esso sta fra gli altri pianeti e li sorpassa tutti in fulgore, in grandezza e in bellezza e li rischiara tutti e distribuisce loro il vigore, ne regola il corso, così che i loro moti si compiono di giorno e di notte, meridionali o settentrionali, per moto diretto o per moto retrogrado»
[Heinrich Cornelius Agrippa Von Nettesheim: De Occulta Philosophia, libro II, capitolo XXXII.]

Nell’Alchimia, del resto, il Sole è il Padre della Pietra Filosofale; la sua azione è fondamentale, come scrisse il medico e alchimista Pietro Bono da Ferrara nella sua Preziosa Margarita Novella (1330): «Senza il Sole l’arte dell’Alchimia non si fa perfetta».

Sempre Paolo Cortesi (Paolo Cortesi: Copernico, il genio ermetico del cielo. Articolo pubblicato il 25 Ottobre 2019 su https://nexusedizioni.it.) ci fa notare quanto di enorme interesse sia, nel nostro contesto, anche la testimonianza del Cosmopolita, pseudonimo del polacco Michael Sendivogius (1556-1636), che conferma l’importanza del Sole anche nell’Alchimia dopo Copernico:

«Come il Sole è il centro tra le sfere dei pianeti e da questo centro del cielo sparge all’ingiù il calore col suo movimento, così il Sole della Terra è nel centro di questa e col suo moto perpetuo spinge fin su alla superficie il calore o i raggi. Questo calore intrinseco è molto più efficace del fuoco elementale, ma è temperato dall’acqua terrestre che di giorno in giorno penetra i pori della terra raffreddandola: lo stesso per il Sole celeste, il cui calore è temperato dall’aria che di giorno in giorno vola attorno al globo; se ciò non fosse, tutte le cose sarebbero consumate da un tale calore che non nascerebbe nulla. Come quel fuoco invisibile o calore centrale consumerebbe ogni cosa se l’acqua non intercedesse, così il calore del Sole distruggerebbe ogni cosa se l’aria non facesse da intermediario».
[Michael Sendivogius: Novum Lumen Chymicum, XI, 1604.]

Giordano Bruno
Giordano Bruno

Il resto della storia di Copernico è ben noto, anche se a tratti mitizzato e con risvolti dai del tutto compresi od indagati. Lasciata l’Italia, dove dal 1504 aveva cominciato a raccogliere le sue osservazioni e le riflessioni che lo avrebbero portato a formare la sua teoria eliocentrica, egli fece ritorno a Frauenburg, dove divenne membro del Capitolo di Varmia, interessandosi di riforme del sistema monetario e sviluppando alcuni studi di economia politica che lo portarono a enunciare in anteprima alcuni principî, poi riassunti nella nota Legge di Gresham. Nel 1516 ricevette dal Capitolo l’incarico di amministratore delle terre attorno alla città di Allenstein (l’odierna Olsztyn), e in tale veste si interessò di questioni di catasto, giustizia e fisco. Nel castello di Olsztyn, dove passò quattro o cinque anni, fece alcune osservazioni importanti e scrisse una parte della sua opera principale, il De Revolutionibus Orbium Coelestium. È proprio in questo castello che si trova tuttora l’unica traccia visibile della sua attività scientifica: una tabella che fece alla parete di una loggia che gli serviva per osservare il moto apparente del Sole attorno alla Terra. Copernico a quel tempo fu anche un rappresentante commerciale del Capitolo, esercitando l’attività di diplomatico per conto dello zio vescovo.

Nel 1514 distribuì ai suoi amici alcune copie del Commentariolus, un breve trattato in cui presentava le sue innovative teorie sulla struttura del cosmo e sul moto dei pianeti, della Luna e del Sole ed esplicitava i sette postulati su cui si fondava la sua teoria eliocentrica. Sin dal suo primo apparire l’opera ebbe immediata notorietà negli ambienti accademici di mezza Europa e da molte parti del continente gli pervennero pressanti inviti a pubblicare i suoi studi, ma Copernico, non senza ragione – anche se di fatto la tesi eliostatica, già presente nella dottrina Pitagorica e in Aristarco di Samo, non rappresentava di certo una novità assoluta -, temeva la prevedibile reazione che le sue idee, per certi versi destabilizzanti, avrebbero potuto suscitare. Il punto, infatti, era proprio questo: fino a quel momento gli ambienti accademici del vecchio continente, sotto l’attenta supervisione di Santa Romana Chiesa, erano permeati dalla Scolastica, dal più deteriore e strumentalizzato Aristotelismo e dalla visione geocentrica, di una Terra che, in quanto creata dal Dio giudaico-cristiano, doveva necessariamente situarsi al centro dell’Universo. Le idee eliocentriche circolavano quasi esclusivamente in ristretti ambienti dotti e sapientali, ma non trovavano spazio nelle università. E il timore della Chiesa era proprio quello che tali idee penetrassero prepotentemente, come un fiume in piena che abbatte gli argini, in un mondo accademico che essa non avrebbe più potuto controllare. Non mancarono però, anche da parte ecclesiastica, pressioni a favore di una pubblicazione del lavoro di Copernico, come testimonia una lettera dell’erudito cardinale tedesco Nikolaus Von Schönberg (che, non a caso, si era intellettualmente formato a Firenze e che era stato nominato arcivescovo metropolita di Capua nel 1520 da Papa Leone X°, figlio di Lorenzo il Magnifico), che lo sollecitò a comunicare la sua scoperta agli studiosi e in particolare domandò di potere avere egli stesso una copia di tale lavoro, offrendosi di pagare di persona tutte le relative spese.

Il lavoro, in realtà, era ancora in via di completamento e l’astronomo-iniziato di Toruń ancora non aveva preso la determinazione di darlo alle stampe quando, nel 1539, l’astronomo e matematico austriaco Georg Joachim Rheticus, anch’egli iniziato pitagorico e nato in una famiglia di tradizioni magico-esoteriche (suo padre era stato condannato e giustiziato con l’accusa di stregoneria), nominato pochi anni prima professore a Wittenberg su sollecitazione dell’umanista, teologo e astrologo Philipp Melanchthon, giunse a Frauenburg. Egli lì stette due anni a contatto con Copernico come suo allievo, e nel 1540 pubblicò nel suo testo Narratio prima l’essenza degli studi che questi andava sviluppando.

Il sostegno – e le molteplici pressioni – di Rheticus, che molto probabilmente agiva a nome e per conto di una cerchia di iniziati tedeschi facente capo all’Ordine Pitagorico (il cui Gran Maestro era allora Girolamo Benivieni) si sarebbero rivelati determinanti per indurre Copernico a completare e a pubblicare finalmente i suoi studi. Nel 1543, infatti, Rheticus passò decisamente all’azione dando alle stampe, con il nome di Copernico – e, molto probabilmente, all’insaputa e senza il consenso di quest’ultimo – un trattato di trigonometria (poi incluso nel secondo libro del De Revolutionibus) e insistette presso quello che ormai era divenuto il suo maestro per la pubblicazione del lavoro. Copernico finalmente vi acconsentì, anche per effetto delle reazioni, talune favorevoli, altre dubbiose o contrarie, ma in genere tutte di grande interesse, che i suoi studi stavano suscitando e affidò il testo al suo fraterno amico Tiedemann Giese, vescovo di Chełmno, perché lo consegnasse a Rheticus, che lo avrebbe di lì a breve fatto stampare a Norimberga, all’epoca un fondamentale polo di sapienza per tutta l’Europa centrale.

Vuole la leggenda che Copernico, ormai in fin di vita a Frombork (si sarebbe infatti spento nella città della Varmia il 24 Maggio del 1543) ne abbia ricevuto la prima copia il giorno in cui sarebbe morto, e taluno scrisse che, avendogliela alcuni amici messa fra le mani, lui, incosciente, si sia risvegliato dallo stato di coma in cui da giorni versava, abbia guardato il libro e, sorridendo, sia serenamente spirato.

Heinrich Cornelius Agrippa Von Nettesheim
Heinrich Cornelius Agrippa Von Nettesheim

Il lavoro di Copernico, un’opera fondamentale che avrebbe cambiato per sempre la visione dell’Astronomia e della Scienza nel suo complesso, apparve con una breve prefazione non firmata, ma scritta – questo è storicamente comprovato – dall’umanista tedesco Andreas Osiander (Hosemann), cui Rheticus, partito per Lipsia, aveva chiesto aiuto per portare a termine la tanto attesa pubblicazione. In tale prefazione, Osiander si preoccupò (forse per evitare la mannaia dell’Inquisizione, ma arrivando di fatto a mistificare lo stesso pensiero di Copernico) di sottolineare come l’autore intendesse il suo modello come «una semplice costruzione matematica», utile ai calcoli, ma «non necessariamente corrispondente al vero». Essendo tale prefazione anonima, fu per lungo tempo intesa essere stata scritta dallo stesso Copernico, e, indubbiamente, quella premessa “giustificatoria” di Osiander fece sì che il testo potesse circolare e diffondersi senza incontrare troppi ostacoli, soprattutto da parte clericale, raggiungendo un pubblico sempre più vasto e divenendo oggetto di molteplici edizioni successive.

Alcuni anni dopo, un altro grande iniziato, il monaco nolano Giordano Bruno, uno dei primi difensori e promotori del sistema copernicano, poi notoriamente perseguitato dalla Chiesa e arso sul rogo in Campo dei Fiori a Roma nel 1600, definì senza mezzi termini Osiander un «asino ignorante e presuntuoso». Eppure, come abbiamo visto, fu proprio grazie a quell’accorgimento dell’erudito tedesco che l’opera di Copernico, il suo pensiero, le sue scoperte e le sue teorie (che pur non erano senza difetti, o almeno senza punti che in seguito si sarebbero rivelati fallaci e corretti da studiosi successivi) avrebbero abbattuto per sempre gli angusti e soffocanti argini della Scolastica aritotelica e del geocentrismo, proiettando l’intera umanità in una nuova era di Conoscenza e Consapevolezza.

di NICOLA BIZZI

Articolo citato durante la puntata del 20/8/2023 dal titolo “COPERNICO E LA TEORIA ELIOCENTRICA con NICOLA BIZZI” che potete rivedere qui:

Un pensiero su “COPERNICO E LA NASCITA DELLA TEORIA ELIOCENTRICA di NICOLA BIZZI”

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