Il monte Magico e la Valle Sacra

Oggi vorrei parlare del Musinè, il monte magico per eccellenza.

Da molti anni esploro e cerco di vivere anche Lui, misterioso e dall’energia potente. Un antico vulcano. Una montagna completamente diversa da tutte le altre. Completamente.

È innanzitutto la vetta più vicina alla città di Torino, e questo è importante: collega dunque in qualche modo la “città della Magia” alla “Valle sacra”, la Valsusa.
Val di Susa con la sua Sacra di San Michele.

Quest’ultima cosa – il fatto che la Val di Susa, che inizia col Musiné, sia un antico luogo sacro con monti magici da proteggere e custodire – spiegherebbe tra l’altro il fenomeno NO TAV.

Non sono certo il primo a sottolineare e a suggerire questa chiave di lettura “esoterica e di geografia sacra”, ma, secondo il mio punto di vista – di una persona che da 30 anni esplora la bassa Valle in cerca di segni del Sacro – molte montagne della Val di Susa, dalla notte dei tempi, sono considerate “luoghi di potere” (per intenderci: sono attraversate dalla linea del Drago, o linea di San Michele) e non vanno perforate e violentate.

La TAV e i luoghi sacri

La popolazione neoceltica autoctona, ancora oggi – senza peraltro rendersene perfettamente conto razionalmente – si oppone al progetto e si impunta come un mulo, o asino, alla sua costruzione (nota bene: sembra che il termine Musinè significhi “monta dell’asino”, N.d.R. – e scrivo il riferimento al mulo e asino amando questi animali tantissimo, e onorando e ringraziando il movimento NO TAV, che giustamente secondo me si oppone con tenacia).

Tra l’altro, se non sbaglio, quando ormai 30 anni fa decisero di costruire il percorso del Treno ad alta velocità, nel progetto iniziale, si voleva passare proprio sotto il Musiné, ed è qui che il villaggio dei Valsusinix cominciò a ribellarsi.

Quest’opposizione a Roma ricorda, né più né meno, quella a Giulio Cesare dei personaggi Asterix e Obelix 2000 anni fa (in altri articoli, parleremo, tra l’altro, del villaggio gallico di Ocelum di cui parla Cesare nel De Bello Gallico, scoperto in Bassa Valle).

L’altro giorno leggevo di un’autostrada il cui percorso in Irlanda è stato modificato rispetto al progetto iniziale perché avrebbero dovuto abbattere un “albero delle fate”.

Ecco, qui stiamo parlando della stessa cosa. Di un’antichissima Tradizione celto-ligure (che affonda le proprie radici nel culto della Dea, dunque originaria dal Paleolitico e Neolitico, migliaia e migliaia di anni fa) ancora viva nel cuore delle genti che popolano questa Valle di confine tra la Gallia e l’Impero Romano (non a caso, l’antico confine, “ad fines”, è proprio ai piedi del Musinè, in località Drubiaglio, Avigliana).

Gli imperatori di Roma vogliono perforare le sacre montagne della Valle, e questa cosa agli irriducibili Galli proprio non va giù. Si ostinano e fanno guerra ad oltranza per opporsi al Sistema.

Io credo che opporsi sia corretto per un semplice fatto di “ecologia spirituale”: questi luoghi non vanno profanati. Ma custoditi, protetti e amati.

Antichi Dèi pagani versus “potere” e “progresso”

Da un punto di vista Tradizionale, perforare una montagna già in generale è un atto sacrilego, una violenza alla Dea Madre. Figuriamoci un “Monte sacro”, sulla linea san Michele!

Alcuni pensano che sia proprio questo il fine occulto del Sistema: violentare e spezzare una linea sacra di energia divina della Madre.

Io non lo so, ma non credo sia consapevolmente un progetto di “magia nera di geografia sacra” come alcuni pensano.

Ma, così come una parte di popolazione autoctona si oppone – senza rendersene perfettamente conto – alla profanazione di luoghi sacri, alcune persone che hanno consacrato la propria vita al “Potere” e al “Progresso” (agli “Dèi moderni”, direbbero nella geniale serie TV American Gods, tratta dal libro di Neil Gaiman) decidono – senza rendersene perfettamente conto – di sconfiggere gli antichi Dèi pagani entrando nel cuore del nemico: perforando i monti sacri.

Negli articoli precedenti abbiamo ampiamente parlato del monte Pirchiriano, su cui sorge la Sacra di San Michele, e del Colle Braida, sacro alla dea Brigid, che tutto è.

Il sacro Monte del Musinè

E oggi parliamo del monte Musinè, poco lontano.

Vorrei raccontare questo.

Qualche tempo fa ai piedi del monte, in località Caselette, per intenderci, nei prati e nei boschi accompagnavo delle persone per un giapponese “shinrin yoku”, “bagno di bosco”, fatto a mio modo, diciamo: celto-ligure.

Ci connettevamo al genius loci e alla Dea, meditavamo profondamente sdraiati in radura, risvegliavamo in noi le energie archetipiche del Drago… E infine – per la prima volta credo, nella storia – andavamo nella cava di opale e magnesite, un enorme anfiteatro naturale, a suonare l’arpa celtica. Ringrazio la mia amica Katia Zunino, con cui da poco condividiamo questo percorso di suono-terapia e geografia sacra.

Ebbene: mentre Katia ci cullava col suono magico dell’arpa (suonava antichissime melodie celtiche), tutti noi, poco lontano, in meditazione e ascolto, abbiamo sentito la terra risvegliarsi, e accogliere come medicina queste note arcaiche. Micro-frane dietro di me scendevano dal declivio, quasi ad accompagnare il concerto. Ho sentito e abbiamo sentito tutti: la Madre Terra rispondeva. Il luogo, vivo, ci rispondeva e in qualche modo ringraziava.

Ora: la sensazione che tutti abbiamo avuto è che avessimo creato come un balsamo, per lenire le ferite di secoli di perforazione della cava. La terra, violentata e, scusate il termine, stuprata, aveva un attimo di sollievo.

I Romani e la cava di Opale…

Ecco: guarda caso, poco lontano dalla cava di Opale, ci sono i resti di una “villa romana”. Duemila anni fa qualcuno visse e colonizzò questa parte bassa del monte Musinè, e, con ogni probabilità, cominciò a perforare la montagna.

Vengo a scoprire che “Opale” è un antico termine indoeuropeo che significa “pietra preziosa”. In antichità questa pietra era dunque “la pietra preziosa” per eccellenza. Con i romani – e dopo di loro noi cattolici greco-romani – questo diventa un luogo di estrazione mineraria sistematico e si origina progressivamente un’enorme cava a cielo aperto.

Da un punto di vista Tradizionale, i romani potremmo considerarli un po’ come gli americani di oggi: “il Nuovo che avanza”, e si espande.

Per una popolazione del Neolitico di uomini e donne consacrati alla Dea, sarebbe stata impensabile e inconcepibile qualsiasi forma di “violenza” alla Dea madre, a Brighid: ai suoi capelli (boschi), alle sue vene (laghi, fiumi, mari), alle sue ossa (pietre e minerali) e ai suoi seni (le cime dei monti). Stiamo parlando di quella che definirei una “Ecologia spirituale”, una disciplina caduta completamente in disuso.

Avrei voluto parlare del Musinè, del suo essere il monte ufologico per eccellenza, quello in cui sono ambientate da sempre leggende di draghi e di masche (le streghe), luogo ricco di incisioni rupestri dalla notte dei tempi, ai simboli esoterici incisi ancora oggi… ma come al solito son finito a parlare di tutt’altro, in una digressione che sta diventando tutto l’articolo.

Poco importa.

Quello che conta è che scrivendo questo articolo scopro di schierarmi ufficialmente dalla parte della NO TAV, per il semplice fatto che alcuni luoghi non devono essere toccati.

Il Musinè non doveva essere perforato (e fortunatamente non lo è stato, il progetto TAV iniziale è cambiato).

Sulla sua cima “non doveva” essere posta l’enorme croce oscena in cemento armato che c’è ora.

La croce di Costantino e la superalleanza

E questo è il fatto “curioso” con cui chiudo la trattazione: i nuovi Dei vogliono addirittura impossessarsi dell’antico Monte attribuendogli uno dei più importanti eventi della Cristianità: la “Croce di Costantino”!

Sì, è proprio così: sembra che Costantino, alla vigilia della battaglia di Torino del 212 con Massenzio (l’Editto di Costantino con cui Roma definitivamente si coalizza con la religione cristiana è del 313), di notte, contemplasse il sacro monte Musinè, chiedesse un segno per poter vincere la battaglia: ecco infine che in cima, misteriosamente, comparve una Croce fiammeggiante di luce – o forse la sognò.

Nessuno sa bene cosa accadde, ma di fatto, da quel momento, grazie a quell’evento “miracoloso”, due superpotenze entrambe ostili al Vecchio mondo, ai Vecchi Dèi “pagani”, si coalizzarono: da un lato l’Impero di Roma, i superamericani, guerrafondai e ingegneri edili, dall’altro la Religione del Maschile divino e dei Patriarchi (in altre parole, sdoganando il dominio dell’Uomo sulla Natura, cioè annichilendo il Femminino sacro e la Geografia sacra, la Dea).

«In hoc signo vinces» comprese allora Costantino: «Con questo segno vincerai» gli avrebbe detto il monte Musinè.

Comprese che avrebbe dovuto far diventare il Cristianesimo (fino a quel momento osteggiato e anche perseguitato) religione di Stato.

Con questo aneddoto “miracoloso” i Cattoromani son riusciti tra l’altro a impossessarsi anche “mitologicamente” di un vero luogo di Potere, in cui dalla notte dei tempi si svolgevano leggende di draghi, di stregoni e di stregonesse pagani. Paganissimi.

In hoc signo vinces…

Questa superalleanza Roma+Chiesa distrusse progressivamente un mondo antichissimo, i suoi valori, e iniziò una durissima battaglia alla Dea Madre, ai suoi capelli e alle sue vene. E questa superalleanza gli “amci” dei Savoia, la Casta dominante, hanno l’ardire di ribadirla sfacciatamente, nel 1900, con un segno-simbolo concreto, tangibile: una mega croce in cemento armato bruttissima (ma potentissima nel modificare completamente l’antica energia dei deva della natura posti alla sommità del Musinè) e inguardabile (anzi, no: visibile anche a molti chilometri di distanza, da Torino!), con una targa di spiegazione che placidamente e spudoratamente reca incise le parole:

IN HOC SIGNO VINCES

A PERPETUO RICORDO DELLA
VITTORIA DEL CRISTIANESIMO
CONTRO IL PAGANESIMO

RIPORTATA IN VIRTÙ DELLA
CROCE NELLA VALLE
SOTTOSTANTE IN PRINCIPIO
DEL SECOLO IV
SUA MAESTÀ IL RE
VITTORIO EMANUELE III
MARCH. MEDICI SEN. DEL REGNO
CONT. CARLO E CONT. GIULIA
CAYS DI CASELETTE

Io credo che il Cristianesimo delle origini sia una delle religioni e spiritualità più belle e amorevoli che siano mai nate sul pianeta Terra. Ho amato tanto i Vangeli gnostici e apocrifi. La figura di Gesù esseno.

Ecco, credo questo: se un vero Cristiano vedesse con chiarezza che cosa in suo nome hanno fatto alcuni, pochi, potenti, avrebbe un moto di disgusto e di ribellione. Perché il Cristinesimo non invita alla sopraffazione sui più deboli, e soprattutto non invita alla distruzione della Natura. È esattamente il contrario.

Felicitarsi di questo: a perpetuo ricordo della vittoria del cristianesimo contro il paganesimo è un atto sacrilego, perché il Paganesimo aveva gli stessi valori del vero Cristianesimo: amava la Natura e le sue Creature, tra cui gli umani. Le onorava e rispettava. Li amava.

Era la religione dell’Amore.

Di ANDREA COGERINO

Video di approfondimento sui luoghi di potere in Piemonte su “FACCIAMO FINTA CHE” con Andrea Cogerino: 

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