(Prima parte: ORIGINE DELLA MASSONERIA IN ITALIA)

(Seconda parte: UNITÀ D’ITALIA E MASSONERIA)

(Terza parte: LA QUESTIONE ROMANA)

Le Società di Mutuo Soccorso

L’Italia di quegli anni era alquanto povera, la stragrande maggioranza dei cittadini lavorava nell’agricoltura, sovente come mezzadri o salariati nei grandi latifondi. L’industria si stava appena sviluppando, peraltro grazie a banche tedesche, come vedremo. Il commercio era di sussistenza, le grandi città portuali come Genova e Napoli (Venezia e Trieste erano ancora austriache) non godevano più di quei grandi commerci di un tempo. Il governo sviluppò la rete ferroviaria e telegrafica, ma questi lavori certamente andarono a beneficio di pochi.

Il governo promulgò la legge nr 3848 del 15 agosto 1867 che prevedeva la “confisca dei beni immobili agrari accumulati nei secoli dagli enti religiosi”, il cosiddetto “Asse Ecclesiastico”. Accompagnata dalla legge 2987 del 28 giugno 1866 che prevedeva la soppressione degli ordini ecclesiastici e delle congregazioni religiose, la guerra sotterranea fra i governi liberali e la Chiesa, esplosero in tutta la sua potenza. Papa Pio IX gridava con quanto fiato aveva in gola di combattere questo governo di “massoni senza Dio”, “Governo che osa rubare alla Chiesa” incitando vescovi e sacerdoti a ribellarsi e far ribellare i fedeli italiani. Se la legge di soppressione degli ordini ecclesiastici era una vendetta del Regno d’Italia per la forte opposizione della Chiesa all’Unità Italiana, quella della confisca degli immensi latifondi ecclesiastici di Puglia, Lucania e soprattutto Sicilia, sovente abbandonati, aveva un chiaro scopo sociale: permettere ai contadini di avere un pezzo di terra. Ma sorsero alcuni problemi: lo stato non poteva o voleva regalare la terra, innanzitutto per non favorire alcuni a danno di altri, poi lo stato era indebitato ed era un’occasione per rimpinguare le casse. Quindi in quelle terre i poveri contadini ebbero difficoltà ad acquistare appezzamenti, in quanto erano mediamente alquanto poveri. Poi, giunse l’ordine perentorio da Roma, tutti i sacerdoti ed i vescovi dovevano ammonire, se non minacciare, i contadini di non acquistare le terre che furono della Chiesa in quanto “inviolabili”; pertanto solo i contadini poco religiosi poterono approfittare dell’occasione, gli altri rimasero intimoriti. Senza contare che la Chiesa in quegli anni favorì il cosiddetto brigantaggio, ossia la rivolta armata, organizzata da ex-militari fedeli ai Borboni, contro lo stato italiano, ma di questa tragica pagina della storia italiana ne parleremo dettagliatamente in altra occasione.

La situazione sociale del popolo italiano di quegli anni non era certamente rosea. Non vi erano leggi che proteggevano i lavoratori dipendenti, che erano in balia dei datori di lavoro. Non esisteva la mutua né la pensione. Come scrisse più tardi il massone Giovanni Pascoli, l’Italia era proletaria nel vero senso del termine, in quanto l’unica ricchezza di buona parte del popolo erano i figli, poiché questi sarebbero stati lo strumento di sostegno della vecchiaia dei genitori.

La Massoneria piemontese organizzò e diffuse una forma di aiuto solidale fra i lavoratori, ossia insegnò ad aprire delle Società di Mutuo Soccorso. Avvocati massoni girarono officine e campagne ad insegnare ai lavoratori dipendenti come associarsi per far fronte ai momenti di difficoltà. Ossia, creata una Società Operaia o Contadina di Mutuo Soccorso, gli associati, ogni mese ne versavano nelle casse una parte dei propri proventi; quando uno degli associati si ammalava o subiva un incidente avrebbe ricevuto dalla cassa di quanto sopravvivere sino al ristabilimento della salute. In caso di morte, la vedova avrebbe ricevuto una somma per sopravvivere almeno sino a quando non avesse trovato una sistemazione. Ogni società si dotava di una bandiera ricamata, normalmente rosso-granata o blu scuro, si dotava di una sede, normalmente una stanza che fungeva da circolo ricreativo, e si sceglieva un giorno all’anno per festeggiare laicamente la società. Vi era un presidente ed un cassiere che provvedevano alle necessità della Società. In breve queste organizzazioni si diffusero in tutto il Piemonte, Lombardia ed Emilia, poi, più lentamente nel resto d’Italia.

Negli anni a venire, i governi si batterono contro l’analfabetismo e la Massoneria organizzò le Scuole Serali, ove maestri volontari andavano ad insegnare a leggere ed a scrivere ai lavoratori analfabeti. Inutile dire che la Chiesa avversò sia le Società di Mutuo Soccorso in quanto, a loro dire, vi era la Divina Provvidenza a pensare al benessere del fedele, al massimo si poteva pregare qualche santo che intervenisse in aiuto del malcapitato. Avversava anche le scuole serali, affermando che “questi maestri senzadio che giungono dalla città, vengono per riempirvi la testa con le idee del Modernismo, che vi porteranno alla rovina”. Nonostante le loro reprimende, le scuole ebbero grande diffusione e molti italiani ed italiane ebbero così il piacere di poter leggere da soli le lettere che spedivano loro i parenti dalle Americhe e, magari con difficoltà, risponder loro senza andare dal prete o dallo scrivano, mestiere all’epoca alquanto diffuso. È certo che nei piccoli paesi gli “scandali” di questi circoli ebbero modo di far parlare comari a lungo: donne che al circolo fumavano una spagnola (sigaretta) o che bevevano un bicchiere di vino non in compagnia del marito. Il sentir riecheggiare una bestemmia o sentir cantare canzoni “socialiste”, erano certamente argomenti da commentare non in una sola sera.

Occorrerà attendere il 1898 per veder approvata la legge di fondazione della “Cassa Nazionale di Previdenza per l’Invalidità e la Vecchiaia degli Operai”, che nasceva proprio sull’esperienza delle Società di Mutuo Soccorso. Nel 1919 l’iscrizione alla Cassa divenne obbligatoria per i lavoratori dipendenti, con il Fascismo divenne Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali. Nel 1933 divenne Istituto Nazionale Fascista per la Previdenza Sociale. Le Società di Mutuo Soccorso avevano esaurito il loro compito sociale, ma molte rimasero aperte come circoli sociali ed alcune sopravvivono ancora oggi.

Simbolo delle Società Operaie di Mutuo Soccorso.
Bandiera di una Società Metallurgica, si notano in basso la squadra ed il compasso.
Bandiera di una Società Operaia e Agricola, in basso la squadra ed il filo a piombo.
Bandiera di Società Operaia, in alto a destra squadra e compasso.

Dall’sperienza delle Società di Mutuo Soccorso, nacquero le Banche di Credito Cooperativo, il cui azionariato era diffuso fra gli operai, contadini, artigiani e commercianti dei paesi ove la banca era nata. Le Banche di Credito Cooperativo erano nate proprio per permettere ai più poveri di accedere al credito (prestiti) a tassi agevolati.

Azione di una banca di credito cooperativo.

Le scuole serali erano gratuite ed avevano come compito di insegnare “ai figli del popolo ed a qualunque anche adulto il leggere, lo scrivere, l’aritmetica e gli elementi di geometria pratica e di ornato”. La Legge Coppino del 1877 rendeva obbligatorio per tutti i bambini del Regno, la frequentazione della scuola sino ai 9 anni, ossia le prime tre classi elementari. Il Massone Michele Coppino fu l’autore della prima riforma scolastica, la successiva fu quella di Giovanni Gentile nel 1923. Coppino fu anche il presentatore della Legge per la Conservazione del Patrimonio Artistico.

Medaglia delle scuole ed officine serali, ove si insegnava anche un mestiere.

La Terza Guerra d’Indipendenza

La Prussia stava lavorando per l’unificazione tedesca e la sua rivoluzione industriale era molto più avanzata di quella italiana. La Germania aveva banche e assicurazioni ricche e potenti. Però aveva alcuni problemi: la Francia con Napoleone III° che aveva mire sulla Renania, l’Austria che non vedeva di buon occhio l’unificazione tedesca e l’Inghilterra che intendeva impedire alla Germania di diventare una potenza marinara. Nel contempo la Francia aveva rotto i rapporti con l’Italia in quanto si sentiva tradita per la questione dell’annessione del Regno delle Due Sicilie e l’Austria dominava ancora Veneto, Trentino, Friuli, Istria e Dalmazia. Quindi i rapporti erano pessimi. Come sovente accade in questi casi, i due reietti si incontrano e fanno amicizia. Per l’Italia fu una boccata d’ossigeno. Le banche tedesche aprirono a Milano e Genova, imprestando soldi e facendo pervenire ordinativi, cosicché, con Torino nacque il Triangolo Industriale ed il primo (piccolo) miracolo italiano.

Non è noto come il Re di Prussia Guglielmo I°, fervente massone, abbia preso contatto con Vittorio Emanuele II°, massone sin dalla giovinezza, ma possiamo ritenere che la Massoneria Torinese e quella Berlinese siano state protagoniste della vicenda. Presi i primi contatti commerciali, questi si evolvettero in contatti militari e strategici. Entrambe le nazioni, Prussia e Italia volevano completare l’unificazione rispettivamente di Germania e Italia, e chi si frapponeva a questi progetti era il Casato d’Asburgo di Vienna. Quindi si aveva un nemico comune. La Prussia fece le prove generali conducendo una breve campagna militare contro la Danimarca, nel 1864, ed ebbe la certezza che le nazioni tedesche del nord, quelle protestanti, avrebbero seguito la Prussia, mentre quelle cattoliche del sud, Baviera, Baden e Württemberg non le sarebbero state ostili. Venne stipulata una alleanza fra gli stati tedeschi e la Germania passò alla produzione di molti nuovi cannoni ed i nuovi fucili a canna rigata. Nel frattempo l’Italia si preparava con le poche risorse a disposizione. Il tutto sotto la guida del più grande cancelliere della storia tedesca Ottone di Bismarck Schönhausen.

In Italia vi era ancora la questione delle truppe francesi di presidio a Roma. Nel 1864 si acuì la crisi fra Austria e Prussia per la questione dei ducati danesi di Schleswig e Holstein, appena annessi dalla Prussia. Napoleone III° intendeva ritirare le truppe dispiegate a Roma per portarle sul confine del Reno e chiese garanzie al Governo Italiano. Il Presidente del Consiglio Massimo Minghetti rassicurò l’imperatore affermando che si stava lavorando per portare la capitale a Firenze e che Garibaldi era tenuto sotto controllo. Firmato un protocollo d’intesa, Napoleone III°, rapidamente, ritirò le truppe.

A febbraio del 1866 la Prussia chiese uno scambio di ufficiali e l’Italia inviò una commissione guidata dal Generale Giuseppe Govone, eroe della Guerra di Crimea e fondatore del Servizio di Spionaggio Piemontese; questi, assieme all’ambasciatore italiano a Berlino Giulio Camillo de Monteauvrard, conte di Barral, furono autorizzati a firmare l’alleanza militare e concordare il piano. Questo prevedeva l’attacco dell’Austria da parte della Prussia, subito l’Italia doveva entrare in guerra a fianco della Prussia. A fine guerra l’Italia avrebbe ricevuto il Veneto. Il vantaggio da parte prussiana era evidente, l’Austria sarebbe stata impegnata su due fronti: a nord con la Prussia ed a sud con l’Italia.

Il 15 giugno 1866 la Prussia dichiarò guerra all’Austria e varcò i confini. Il 20 giugno, come concordato, anche l’Italia dichiarò guerra all’Austria. Due eserciti italiani passarono i confini, uno più a nord attraversò il Mincio, guidato da LaMarmora, ed uno più a sud attraversò il Po, guidato da Cialdini. Inoltre vi era il Corpo Volontari Italiani, guidato da Garibaldi, forte di ben 40.000 uomini. Dividere l’esercito fu un grave errore. LaMarmora si scontrò con gli austriaci a Custoza l’esercito italiano era disperso e male organizzato, forte di 120.000 uomini, riuscì a farne intervenire in battaglia solamente 50.000, che combatterono contro 70.000 austriaci, terminando con una sconfitta italiana. Persino il Principe Amedeo di Savoia vi rimase ferito. La disorganizzazione e le invidie personali portarono da una sconfitta rimediabile ad un mezzo disastro. Inoltre, Cialdini a sud, saputo che LaMarmora era stato sconfitto, invece di avanzare secondo i piani, e come gli aveva persino telegrafato il Re in persona, ripiegò e si ritirò in direzione di Bologna.

Nel frattempo le truppe guidate da Garibaldi penetrarono nel trentino, con piccoli scontri vittoriosi. Giunse la notizia della sconfitta di Custoza e l’ordine di ritirarsi e porsi a difesa di Brescia. Poi, lasciate le riserve a difesa di Brescia, Garibaldi rientrò in trentino, scontrandosi con gli austriaci con alterne fortune.

Nell’Adriatico si mosse la neonata flotta italiana, comandata dal Persano, che si era distinto nella spedizione dei mille. Persano aveva l’ordine di ingaggiare lo scontro con gli austriaci (che in realtà erano quasi tutti veneti e istriani) e di non danneggiare né Venezia né Trieste. La flotta italiana era stata da poco creata, si basava sulla flotta del Regno delle Due Sicilie, che forniva la maggioranza delle navi e dei marinai, oltre che degli ufficiali, in aggiunta la flotta ligure dei Savoia con alcune imbarcazioni della Romagna e delle Marche. Il problema era l’eterogeneità delle navi, stili di comando e di operatività, la lingua, la diffidenza sovente basata su fatti reali, ad esempio gli ufficiali meridionali ben sapevano che Persano era nato a Vercelli e che era divenuto ammiraglio per aver scortato Garibaldi in Sicilia, e loro, nati al mare si sentivano defraudati dall’essere comandata da un “uomo di terra”. Il giorno dello scoppio della guerra la flotta era a Taranto ed il ministero telegrafò di spostarla ad Ancona. Le navi viaggiarono a 5 nodi per non forzare i motori, ma vi furono ugualmente delle avarie. Giunti ad Ancona si resero conto che il porto non poteva ospitare tutte le navi, ed alcune dovettero essere ormeggiate fuori. Qui i marinai furono impegnati a montare cannoni e riparare guasti. Con la possibilità di veder giungere la flotta austriaca e di non essere in grado di difendersi. Cosa che avvenne il 27 giugno. Le nove navi in stato migliore uscirono dal porto ed andarono a fronteggiare il nemico, ma giunti a tiro Persano ordinò di non sparare, temendo che i cannoni non funzionassero. Il nemico, in inferiorità numerica, si ritirò e, su consiglio, degli ufficiali italiani non si procedete all’inseguimento per non correre il rischio di rimanere in mare con i motori guasti.

Mentre Ricasoli telegrafava a Persano di non usare le navi se non si era certi di ciò che si faceva, mentre l’esercito stava assediando alcune postazioni di frontiera, mentre i generali litigavano fra di loro minacciando dimissioni ed accusandosi l’un l’altro, in Germania, la Prussia in pochi giorni aveva occupato la Sassonia quasi senza sparare, quindi era entrata in Boemia ed a Sadowa, aveva pesantemente sconfitto gli austriaci grazie ai nuovi fucili ed alla superiorità dell’artiglieria. L’Austria volle levarsi il problema dell’Italia. Ma l’Austria, a parte la guerra in corso, non aveva proprio contatti con l’Italia, e non voleva averli; allora chiese a Napoleone III° la mediazione. L’Austria avrebbe regalato il Veneto alla Francia e la Francia lo avrebbe dato all’Italia se l’Italia si ritirava dalla guerra. Re Vittorio Emanuele II°, per lealtà verso la Prussia, non accettò.

Vista l’inerzia dell’esercito italiano, Austria spostò parte delle truppe in Boemia, Bismarck si lamentò ufficialmente per “l’inerzia italiana”. Lo Stato Maggiore Italiano decise che l’Italia doveva riportare una vittoria, si decise che si doveva conquistare Trento e Trieste. Trento tramite Garibaldi, poi con i suoi volontari si sarebbe spostato a Trieste tentando di conquistarla. Nel frattempo l’esercito avrebbe fatto un diversivo attaccando Verona. Inoltre se Persano non avesse attaccato la flotta austriaca entro sei giorni sarebbe stato destituito. Immediatamente Garibaldi si gettò nella campagna per prendere Trento. Nel frattempo l’ex Garibaldino e massone Giacomo Medici con una colonna marciò verso Trieste e Cialdini su Treviso, mentre quest’ultimo e LaMarmora continuavano a litigare, accusandosi a vicenda.

Messo alle stette, Persano il 14 luglio mosse la flotta. La flotta austriaca mosse dalla base di Pola e si incontrarono presso l’isola di Lissa. La battaglia fu cruenta e deleteria per la flotta italiana. Dopo la guerra Persano fu processato per tradimento e viltà di fronte al nemico. Il 15 aprile del 1867 fu condannato alle dimissioni forzate per negligenza, imperizia e disubbidienza agli ordini, quindi fu anche privato della pensione.

La Prussia continuava ad avanzare e l’Austria chiese l’armistizio. Ai tavoli di pace l’Italia, oltre al Veneto concordato chiese Trento e Bolzano, ma fu Bismarck stesso a rigettare la richiesta in quanto si trattava di due antiche città imperiali germaniche. Di Trieste, non se ne parlava nemmeno. Il Veneto passò all’Italia e fu firmata la pace a Vienna.

Il 21 ed il 22 ottobre del 1866 si svolsero i plebisciti dell’intero Veneto e nelle provincie di Mantova, Udine e Pordenone per convalidare l’annessione al Regno d’Italia. I voti contrari all’annessione furono solamente 69 ed i voti favorevoli il 99,99%. Il 4 novembre 1866, con decreto regio tutte queste terre furono integrate all’Italia.

Il Regno d’Italia nel 1866.

Il Grande Oriente d’Italia

Abbiamo già accennato che la comunione (organizzazione) massonica principale in Italia fu fondata a Milano nel 1805. Nel 1864 a Firenze, che non era ancora la capitale, si riunirono le tre principali organizzazioni massoniche: il Grande Oriente di Napoli, il Grande Oriente di Torino (erede del Grande Oriente d’Italia napoleonico) ed il Grande Oriente di Palermo. L’incontro si tenne fra il 21 ed il 24 maggio e si decretò la fusione dei tre ordini e la rinascita del Grande Oriente d’Italia, con sede a Firenze. Gran Maestro, ossia il capo dell’organizzazione, fu eletto Giuseppe Garibaldi.

Garibaldi resse per poco tempo la carica di Gran Maestro, lui era uomo d’azione e non avvezzo a pratiche politiche, così si dimise e venne nominato Gran Maestro Onorario a vita. Ma anche in questo caso gli impegni politici e sociali erano intensi, cosicché scrisse a Mazzini offrendogli la carica di Gran Maestro Onorario, ma Mazzini rifiutò in quanto riteneva, a buon diritto, che i vertici della Massoneria italiana erano troppo solerti nel prodigarsi per i voleri della Corona, lui era profondamente repubblicano e quindi non intendeva collaborare strettamente con il Re.

Da questo momento, (quasi) tutte le Logge d’Italia fecero riferimento ad una sola organizzazione, la Carboneria era scomparsa e molti suoi membri erano entrati in massoneria. Poiché il Re, ed i suoi due figli Umberto ed Amedeo, non faceva mistero della loro appartenenza alla Massoneria, anzi Re Vittorio Emanuele II° considerava un vanto l’essere stato scomunicato da un Papa antitaliano come Pio IX, molti militari, funzionari, ministri, medici, insegnanti, entrarono in Massoneria. Le correnti erano sempre due, quella Repubblicana-rivoluzionaria che voleva cambiare il mondo con l’ardore ed il coraggio insegnato da Garibaldi, e poi vi era la corrente ministeriale-moderata impegnata a cambiare il mondo a piccoli passi, come aveva insegnato Cavour. Sicuramente le discussioni saranno state anche accalorate, ma l’obiettivo era sempre il medesimo, unificare tutta l’Italia e renderla migliore.

In quegli anni vi fu un vero fiorire della Massoneria; avvenivano congressi pubblici, alle manifestazioni i dignitari partecipavano con la fascia, non si faceva mistero dell’appartenenza all’associazione, anzi era normale. Pur con una popolazione molto inferiore a quella odierna, si contavano decine di migliaia di aderenti; le Logge non erano solamente nelle città, ma anche in molti paesi.

Abbiamo visto il peso che ebbe la Massoneria nel creare le Società di Mutuo Soccorso e nella fondazione delle Scuole Serali, ma i massoni si distinsero anche per la creazione degli Asili notturni, ossia luoghi ove dare un rifugio a tutti quei diseredati che lasciavano la campagna per cercare lavoro in città e non sempre avevano parenti o compaesani ove andare a dormire. I primi tempi potevano trovare solamente lavori a giornata come aiuto muratori od a scaricare le cassette ai mercati generali. Quindi la sera sciamavano verso gli Asili Notturni ove sapevano di trovare un letto per pochi spiccioli.

Garibaldi con le insegne da Gran Maestro.

Garibaldi resse per poco tempo la carica di Gran Maestro, lui era uomo d’azione e non avvezzo a pratiche politiche, così si dimise e venne nominato Gran Maestro Onorario a vita. Ma anche in questo caso gli impegni politici e sociali erano intensi, cosicché scrisse a Mazzini offrendogli la carica di Gran Maestro Onorario, ma Mazzini rifiutò in quanto riteneva, a buon diritto, che i vertici della Massoneria italiana erano troppo solerti nel prodigarsi per i voleri della Corona, lui era profondamente repubblicano e quindi non intendeva collaborare strettamente con il Re.

Da questo momento, (quasi) tutte le Logge d’Italia fecero riferimento ad una sola organizzazione, la Carboneria era scomparsa e molti suoi membri erano entrati in massoneria. Poiché il Re, ed i suoi due figli Umberto ed Amedeo, non faceva mistero della loro appartenenza alla Massoneria, anzi Re Vittorio Emanuele II° considerava un vanto l’essere stato scomunicato da un Papa antitaliano come Pio IX, molti militari, funzionari, ministri, medici, insegnanti, entrarono in Massoneria. Le correnti erano sempre due, quella Repubblicana-rivoluzionaria che voleva cambiare il mondo con l’ardore ed il coraggio insegnato da Garibaldi, e poi vi era la corrente ministeriale-moderata impegnata a cambiare il mondo a piccoli passi, come aveva insegnato Cavour. Sicuramente le discussioni saranno state anche accalorate, ma l’obiettivo era sempre il medesimo, unificare tutta l’Italia e renderla migliore.

In quegli anni vi fu un vero fiorire della Massoneria; avvenivano congressi pubblici, alle manifestazioni i dignitari partecipavano con la fascia, non si faceva mistero dell’appartenenza all’associazione, anzi era normale. Pur con una popolazione molto inferiore a quella odierna, si contavano decine di migliaia di aderenti; le Logge non erano solamente nelle città, ma anche in molti paesi.

Abbiamo visto il peso che ebbe la Massoneria nel creare le Società di Mutuo Soccorso e nella fondazione delle Scuole Serali, ma i massoni si distinsero anche per la creazione degli Asili notturni, ossia luoghi ove dare un rifugio a tutti quei diseredati che lasciavano la campagna per cercare lavoro in città e non sempre avevano parenti o compaesani ove andare a dormire. I primi tempi potevano trovare solamente lavori a giornata come aiuto muratori od a scaricare le cassette ai mercati generali. Quindi la sera sciamavano verso gli Asili Notturni ove sapevano di trovare un letto per pochi spiccioli.

Lapide posta sulla facciata degli Asili Notturni di Torino.
Oggi, presso gli Asili Notturni vi è anche un ambulatorio gestito da medici massoni che prestano servizio volontariamente e gratuitamente.
Iniziazione in Italia nella seconda metà dell’800.
Foto di gruppo di una Loggia Italiana di fine 800.

Dopo i fatti del 1870, che vedremo a breve, l’organizzazione si spostò a Roma.

I fatti di Porta Pia

Abbiamo visto che con la Terza Guerra d’Indipendenza il Veneto era stato unito all’Italia, ma rimanevano ancora austriache Trento e Trieste. Inoltre vi era la “questione Romana” irrisolta. Questione di difficile soluzione, in quanto Napoleone III° manteneva la sua posizione ideologica: il centro Italia era di interesse francese.

Ma per fortuna, nonostante le figure meschine della guerra del 1866, i rapporti con la Germania rimanevano buoni. Pertanto si venne a sapere che la Germania, ormai unita dal 1866 come Confederazione Tedesca, cui a capo vi era Re Guglielmo I e Bismark ne era il Cancelliere, aveva il progetto di riportare le terre tedesche dell’Alsazia e della Lorena all’interno della Confederazione. Immediatamente Re Vittorio Emanuele II°, e di conseguenza il Governo e la Massoneria, iniziarono ad organizzarsi per cogliere l’occasione. Un nuovo colpo di mano, nel momento che Napoleone III° fosse stato impegnato in una guerra contro la Germania, rapidamente entrare in Roma ed unirla all’Italia.

Mentre l’Esercito Regio si teneva in contatto con quello Germanico per sapere quando iniziare le operazioni, Papa Pio IX convocò il Concilio Vaticano I° con l’obiettivo di definire teologicamente:

  1. Che la Chiesa Cattolica è stata “Edificata in terra da Gesù Cristo sopra Pietro, al fine di applicare a tutte le umane generazioni i frutti della sua redenzione”;

  2. Che la Chiesa è l’unica Autorità voluta da Dio per governare le convinzioni dell’intelletto umano e per indirizzare le azioni degli uomini, tanto nella vita privata che in quella sociale;

  3. Poiché Dio non può sbagliare, non può errare, proprio perché è Dio. Ne consegue che anche i successori di Pietro, cioè i Papi, nell’esercizio del loro compito di “legare e di sciogliere” devono essere infallibili, non possono errare, non possono sbagliare.

Il terzo punto sarebbe diventato un Dogma. Giunsero a Roma ben 1.084 Padri Conciliari, fra Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, Patriarchi, Primati ed Abati. I lavori conciliari iniziarono l’8 dicembre 1869 e le discussioni furono alquanto lunghe e bizantine. In realtà il lavoro che più impegnò i Padri Conciliari furono le sepolture. Ciò in quanto l’età media era molto avanzata, morirono 5 cardinali, 1 arcivescovo, 25 vescovi ed 1 abate. Inoltre quando fu l’ora di votare il 3° punto, ben 60 Padri Conciliari se ne andarono da Roma la sera precedente, per non votare quanto ritenevano inaccettabile.

Ma il mondo non si era fermato ad attendere le assemblee vaticane, ed il 18 luglio del 1870 scoppiò la guerra fra Germania e Francia. Le truppe imperiali francesi erano guidate personalmente da Napoleone III° mentre quelle dell’intera confederazione germanica dal Capo di Stato Maggiore Helmuth Karl Bernhard Graf von Moltke, un genio militare, fautore della fitta rete ferroviaria tedesca, con l’obiettivo di poter portare rapidamente le truppe al confine e sorprendere il nemico, fosse esso Francia, Austria o Russia.

Immediatamente le truppe italiane, già preallarmate, si mossero verso il confine dello Stato della Chiesa. L’8 settembre Re Vittorio Emanuele II° scrisse una lettera a Papa Pio IX in cui proponeva di far entrare le truppe italiane a Roma, a motivo dell’insicurezza del momento, e la presenza italiana avrebbe potuto proteggere il Papa e la sua corte cardinalizia. Il Papa rifiutò l’offerta ed il Senatore Gustavo Ponza di San Martino, latore della missiva, scrisse al Governo informandolo che il Papa rifiutava e garantiva che si sarebbe difeso. Il Governo telegrafò al Generale Raffaele Cadorna, comandante in capo della spedizione, dando il via all’operazione. Una divisione entrò nel Lazio da nord ed una da sud, il grosso dell’esercito, 3 divisioni, scesero dall’Umbria verso Roma. Il 12 settembre il comandante delle truppe pontificie, il tedesco Hermann Kanzler dichiarò che Roma era ormai sotto assedio. Il 15 settembre Cadorna inviò un messaggio a Kanzler chiedendogli di consentire l’occupazione pacifica dell’Urbe Eterna. Kanzler rispose che aveva l’ordine di difendere la città con tutti i mezzi possibili. Cadorna ricevette l’ordine di stringere l’assedio presso le mura però aspettando ancora ad attaccare e di attendere la negoziazione della resa. Le truppe furono disposte tutte attorno a Roma, le porte della città furono chiuse, non prima che decine e decine di Padri Conciliari abbandonassero la città in quanto si era sparsa la voce che “i piemontesi” li avrebbero arrestati tutti. Gli ordini erano che, in caso di attacco, non si dovevano superare le Mura Leonine, ossia il vaticano.

I tentativi di risolvere pacificamente la questione non riuscirono nel loro intento, l’ambasciatore tedesco in Roma, Henri von Armin, tentò un’ultima mediazione, ma Pio IX era irremovibile: Roma era il simbolo del potere temporale e lui non intendeva perderlo. Pertanto da Firenze venne inviato l’ordine di non temporeggiare più e di procedere nell’entrata nella città il giorno 20 settembre. Il Papa fu fatto informare e questi rispose che sarebbe stato scomunicato il primo che avesse sparato in direzione di Roma. Cadorna radunò i suoi ufficiali e distribuì gli ordini per la mattina successiva, si sarebbe dovuto iniziare con un intenso fuoco di artiglieria alle ore 5 in più punti e proseguire sino a quando si fosse aperta una breccia. Qualche ufficiale riferì che diversi artiglieri, in quanto cattolici, si sentivano a disagio, se non spaventati, all’idea di essere il primo a dover sparare. A qualcuno venne un’idea e corse a chiamare un artigliere piemontese, si trattava di Giacomo Segre, nato a Saluzzo, del 9° Reggimento Artiglieria, di fede israelitica. Per lui non sarebbe stato un problema ricevere la scomunica. L’artigliere fu presentato all’Alto Comando e Segre confermò, essendo lui ebreo non era interessato alle minacce del Pontefice. Era deciso, la mattina successiva sarebbe stato lui a sparare il primo colpo di cannone.

Con il consueto ritardo italico, il colpo di Segre fu sparato alle ore 5:30, ma per le truppe papaline fu comunque una sorpresa. Erano certi che in un modo o nell’altro sarebbe stato trovato un accordo, ora pareva tardi. Le cannonate si schiantavano sulle mura e qua e là iniziavano ad alzarsi delle bandiere bianche. Le truppe pontificie erano formate in parte da abitanti del Lazio ed in parte da mercenari: svizzeri e tedeschi, oltre un reparto di zuavi francesi, al soldo del Vaticano. I laziali erano poco propensi a morire per il Papa, meno ancora i mercenari tedeschi, che in massima parte erano contadini che avevano trovato quel mestiere che ritenevano tranquillo.

Ad un certo momento si udì un crollo, presso Porta Pia parte delle mura avevano ceduto. Gli ufficiali accorsero e verificarono, dando l’ordine di allargare la breccia, quindi predisposero un reparto di Bersaglieri che sarebbero stati i primi ad entrare. Tutto era tranquillo, su Porta Pia sventolava la bandiera bianca e non si vedeva più nessuno sulle mura. I cannoni tuonarono sino alle 9:45 quindi il Bersagliere trombettiere senese Nicolò Scatoli ricevette l’ordine di suonare la carica, prontamente eseguita. Il Sottotenente Federico Cocito sguainò la sciabola e guidò i suoi uomini del 12° Bersaglieri attraverso la breccia, entrando per primo a Roma. Nei pressi di Porta Pia, ben nascosti da una barricata di fortuna vi erano un gruppo di Zuavi francesi che aprirono il fuoco sui bersaglieri uccidendo il maggiore Giacomo Pagliari del 34° Bersaglieri, la risposta degli italiani mise in fuga gli zuavi.

Prima di sera Roma era in mano alle truppe italiane. Le porte leonine erano presidiate dai mercenari svizzeri ed il Papa che guardava i bersaglieri passare di corsa davanti il palazzo. Sicuramente pensò che questa volta non erano garibaldini e non sarebbero arrivati i francesi o gli austriaci a liberarlo, il potere temporale ottenuto dall’imperatore Teodosio II° 1.400 anni prima era terminato. Poi, chissà, potrebbe aver pensato che in fin dei conti Teodosio fu raggirato con documenti falsi, forse era destino che finisse così, forse era durato anche troppo.

Nel frattempo, in carrozza, in groppa a muli o a piedi centinaia di Padri Conciliari stavano fuggendo da Roma, con gruppi di cittadini che li insultavano e li schernivano. Papa Pio IX, abbandonato dai suoi confratelli, con un pugno di uomini armati, si rinchiuse in Vaticano e dalla finestra dichiarò alla folla di fedeli riuniti che lui era e rimaneva prigioniero e che non sarebbe più uscito dal Vaticano. Promessa che mantenne. Nel frattempo i registri del Concilio Vaticano I° furono riposti in archivio senza la chiusura dei lavori, sarà quasi 100 anni dopo Papa Giovanni XXIII a chiuderli formalmente prima dell’apertura del Concilio Vaticano II°.

Il Re ed il governo erano stati costantemente tenuti informati tramite telegrafo. Alla notizia che tutto era finito, venne convocato il parlamento per il giorno successivo. La mattina successiva il parlamento era pieno in ogni ordine e grado, di deputati e senatori, giunse il Re accolto da un fragoroso applauso ed un parlamentare lesse dai registri parlamentari quanto aveva detto al parlamento subalpino Cavour, dieci anni prima, l’11 ottobre 1860:

«La nostra stella, o Signori, ve lo dichiaro apertamente, è di fare che la città eterna, sulla quale 25 secoli hanno accumulato ogni genere di gloria, diventi la splendida capitale del Regno Italico.»

L’annessione del Lazio al Regno d’Italia fu la campagna meno sanguinosa di tutto il Risorgimento: le truppe piemontesi subirono 32 morti e 143 feriti, quelle pontificie 15 morti e 68 feriti, quasi tutti mercenari stranieri. Il Governo Italiano indisse per il 2 ottobre 1870 un plebiscito che recitava: “Desideriamo essere uniti al Regno d’Italia, sotto la monarchia costituzionale del re Vittorio Emanuele II° e dei suoi successori”; gli iscritti nelle liste elettorali erano 167.548 ed i votanti furono 135.291 nonostante il Papa ed i prelati avessero ordinato ai fedeli di non recarsi al voto. Clamorosamente vi furono solamente 1.507 voti contrari e 103 schede nulle. La regione che ospitava il Pontefice si era espressa nella quasi totalità a favore dell’Italia.

Ma la liberazione di Roma non era la fine di un ciclo, era l’inizio.

Il Governo non era certo di questo risultato, anzi, e quindi si sentì autorizzato a procedere all’integrazione del Lazio nel Regno. La Banca di Roma consegnò il tesoro dello Stato della Chiesa, che fu riversato nelle casse statali. Le decine e decine di palazzi di proprietà vaticana furono requisiti e passati al Demanio, pronti a divenire uffici statali; nel frattempo il 2 settembre 1870 Napoleone III° era stata sconfitto a Sedan dai Tedeschi e lui stesso catturato. L’Impero era caduto ed era sorta la 3° Repubblica Francese. Anzi, essendo questa basata sui principi della Rivoluzione, Garibaldi raccolse un gruppo di volontari e si recò in Francia a difenderla, in quanto la Germania non aveva fermato la guerra. L’Austria era ancora frastornata dalla sconfitta del 1866 e non sarebbe intervenuta, se non con vibrate proteste dell’ambasciatore. Quindi più nulla poteva impedire la nomina di Roma Capitale. Il palazzo del Quirinale fu riservato come residenza reale. La discussione in parlamento fu fra i fautori dell’italianità tutta e quindi il lasciare Firenze capitale o i fautori della grandezza di Roma “Caput Mundi”. Prevalsero i secondi e Roma, con la legge nr 33 del 3 febbraio 1871 Roma diveniva ufficialmente la Capitale del Regno d’Italia. Con il trasferimento nell’Urbe della Reggia e del Parlamento e dei Ministeri. La Camera dei Deputati fu preparata a Palazzo Montecitorio, consegnando Palazzo Vecchio al Comune di Firenze. La ristrutturazione del palazzo fu affidata all’Architetto piemontese Paolo Comotto, che vi inserì due colonne all’ingresso dell’aula, come all’ingresso delle Logge, inoltre l’ampio atrio antistante assunse il nome di “sala dei passi perduti”, che è il nome del locale antistante le Logge, ove gli ospiti attendono di essere invitati ad entrare in loggia. Il Senato fu invece predisposto a Palazzo Madama. Il palazzo dedicato al governo fu Palazzo Chigi.

Ingresso alla Camera dei Deputati.

La povertà evangelica è un conto, gli interessi economici ben altro. Ed immediatamente iniziarono le dispute diplomatiche, legali e parlamentari per la definizione delle acquisizioni al Demanio di palazzi e proprietà che furono del papato.

Il parlamento, dopo lunghe discussioni, giunse alla conclusone che occorreva una legge per definire il tutto, compresi i rapporti fra Stato e Chiesa. Il Primo Ministro Lanza incaricò il Ministro di Grazia, Giustizia e Culti, Matteo Raeli, patriota che aveva anche subito l’esilio da parte dei Borboni, di redigere la legge, in concorso con il Massone Quintino Sella Ministro delle Finanze. La legge fu approntata in tempi alquanto ristretti e fu votata dal Parlamento il 13 maggio 1871, la Legge 214 si intitolava “Sulle prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede, e sulle relazioni dello Stato con la Chiesa”. La legge divenne nota come Guarentigie, ossia delle Garanzie.

La legge prevedeva la garanzia dell’inviolabilità del Papa, ossia non poteva venire arrestato, gli si attribuivano onori “come” ad un sovrano, lo si autorizzava ad avere una guardia armata. Alla Santa Sede venivano assegnati i palazzi: Vaticano, Laterano, Cancelleria e Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo. Tali palazzi avrebbero goduto dell’extraterritorialità, ossia come se fossero ambasciate straniere. Veniva assicurata la libertà di comunicazione postale e telegrafica, ossia senza censura; veniva garantita la rappresentanza diplomatica, ossia i rapporti fra Stato e Chiesa sarebbero stati tenuti da diplomatici. Infine l’Art. 4 prevedeva un versamento annuo alla Santa Sede da parte dello Stato di Lire 3.225.000 (pari a 15,7 milioni di Euro del 2021) come indennizzo perpetuo per l’acquisizione al Demanio dei latifondi e delle proprietà immobiliari a Roma e non solo. Il versamento effettuato doveva essere utilizzato solamente per il mantenimento del Pontefice, del Sacro Collegio (Cardinali) e dei palazzi apostolici. Per quanto riguardava i rapporti fra Stato e Chiesa, si garantiva ad entrambi l’indipendenza, ossia lo Stato garantiva che non avrebbe cercato di influenzare l’attività della Chiesa ma non avrebbe tollerato le ingerenze della Chiesa negli affari dello Stato. Infine lo stato riconosceva al clero la libertà di riunione ed i Vescovi erano esentati dal giuramento di fedeltà al Re. Quest’ultima concessione era proprio per ingraziarsi la buona volontà del Pontefice.

Subito dopo l’approvazione della Legge, Pio IX si scagliò contro lo stato ed il governo italiano affermando con veemenza che si trattava di un “atto unilaterale” del governo e che pertanto lo dichiarava inaccettabile, dimenticando di dire che lui si era rifiutato di discuterne i contenuti, in quanto non riconosceva la legittimità del Regno d’Italia. Il 15 di maggio, ossia due giorni dopo l’approvazione, il Papa emanò l’Enciclica “Ubi Nos” con la quale ribadiva che il potere spirituale della chiesa non poteva essere disgiunto dal potere temporale. Inoltre vi era il problema, dal Papa ritenuto inaccettabile, del Placet governativo per la nomina dei vescovi, dei sacerdoti e per tutte le cariche ecclesiastiche che ricadevano sul territorio del regno, eccetto Roma e provincia, per la quale il governo aveva creato un’eccezione per ingraziarsi il Pontefice. Evidentemente uno sforzo inutile.

Alle infuocate reprimende pontificie, che definivano la Legge un “mostruoso prodotto della giurisprudenza rivoluzionaria”, per ritorsione in parlamento l’Estrema, ossia i repubblicani ed i garibaldini, proposero una legge per la soppressione delle facoltà di Teologia in Italia, in quanto ispirate da una sola religione. Inoltre che i seminari fossero posti sotto ferreo controllo statale. La legge fu approvata. Nonostante i rapporti fra Stato e Chiesa fossero ai minimi livelli, lo stato versava regolarmente e puntualmente quanto previsto dalla legge in un contro bancario nelle disponibilità della cancelleria vaticana. Come vedremo, la questione sarà poi risolta con i Patti Lateranensi del 1929.

La loggia Propaganda

Abbiamo visto che la Massoneria si era riunita in un’unica organizzazione, quantomeno la gran parte delle logge italiane, ossia il Grande Oriente d’Italia. La sua sede era a Roma e come abbiamo visto, in quegli anni viveva di grande prestigio e popolarità. Le adesioni erano molte sia da parte della piccola e media borghesia, sia dai dirigenti statali ed intellettuali.

Non abbiamo numeri certi, ma una buona parte dei deputati era affiliata alla Massoneria, senza distinzione di appartenenza alla corrente, in quanto all’epoca non vi era in parlamento la presenza fisica dei partiti. Quindi le leggi di interesse sociale erano prima discusse fra i “fratelli”, una volta trovata la formula che era reputata valida per tutti, la proposta di legge veniva presentata in aula ed immancabilmente approvata. Questa situazione era favorita da alcuni fattori: innanzi tutto la parte reazionaria, rappresentata dalla nobiltà legata all’Ancien Regime, ossia all’assolutismo, era ormai quasi sparita sia per motivi anagrafici che per il fatto che il Re in persona ed i figli Umberto e Amedeo erano massoni. L’altro motivo era che Pio IX diramò nel 1874 la parola d’ordine per i “buoni cattolici” ossia “non expedit” (non conviene), sconsigliando vivamente ai cattolici praticanti di non partecipare alla politica e nemmeno ad andare a votare per quel regno che lui, il Papa, non riconosceva. Quindi in parlamento vi erano solamente laici, di varia tendenza, moderati, conservatori, progressisti, radicali, ma nessun cattolico né reazionario che potessero contrastare la politica della maggioranza.

Il 7 settembre 1870 fu eletto Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Giuseppe Mazzoni, un patriota toscano che aveva lottato per la Repubblica Toscana, quindi aveva fondato il Movimento Federalista, basato sulle idee di Carlo Cattaneo, ossia propugnava la federazione degli stati preunitari, preferibilmente in una Repubblica, ma anche sotto la guida di un Re Costituzionale. Invece, con l’unità d’Italia si venne a formare uno stato unitario che sostanzialmente era l’espansione del Regno di Sardegna. Allora Mazzoni si gettò a capofitto nella opera di rendere grande e potente la Massoneria al fine di propugnare idee democratiche e liberali in Italia. Divenuto Gran Maestro, si trovò a risolvere la questione del coordinamento dei deputali appartenenti alla Massoneria, ma essendo concentrati a Roma, ebbe buon gioco. Poi dovette affrontare la questione della diffusione delle idee massoniche, a tal fine ebbe l’intuizione di formare una “loggia sui generis”, ossia una loggia virtuale ove inserire i fratelli che potevano servire allo scopo e fare in modo che coordinassero i loro scopi. Quindi creò la Propaganda Massonica, sostanzialmente un elenco di selezionati fratelli: giornalisti, scrittori, intellettuali, docenti universitari, dirigenti ministeriali, politici di rilievo, artisti, editori ed industriali. Quindi venne istituito un comitato che doveva definire la posizione massonica per un certo argomento e quindi diffondere agli iscritti nell’elenco come agire. Immediatamente nei giornali, unico grande media dell’epoca, comparivano articoli che indicavano qual era la posizione della Massoneria, senza indicarla direttamente. Nel caso erano organizzati incontri pubblici, lectio magistralis, manifesti e quanto serviva per diffondere l’idea fra il popolo. In tale ambiente nacquero anche molti sindacalisti, che avevano il compito di diffondere le idee fra i lavoratori, oltre che i maestri delle scuole serali ed i presidenti dei circoli delle società di mutuo soccorso. Con i mezzi dell’epoca, telegrafo e lettera, il lavoro era alquanto complicato, ma i risultati vi furono, la Massoneria diffondeva le sue idee anche negli strati più indigenti del popolo d’Italia. Con questa organizzazione, ad esempio, si convincevano i sindaci a fare o non fare certe opere pubbliche, oppure si contrastava un vescovo che tuonava contro il sindaco od il governo. Una questione a parte era partecipare al dileggio collettivo a quanto pubblicato da Papa Pio IX, ormai identificato come nemico d’Italia. Il Pontefice ogni qualvolta pubblicava sui quotidiani o sulle riviste cattoliche un suo pensiero, immediatamente un’ondata di risate e di scherno si alzava da tutti gli altri giornali.

Il 9 gennaio del 1878 moriva Re Vittorio Emanuele II, suo figlio primogenito, il Principe Umberto ereditava la Corona con il nome di Re Umberto I°. Il cordoglio fu quasi unanime, se non dal lato di quella parte della Chiesa che non aveva ancora accettato l’Unità d’Italia. Il 7 febbraio successivo, ossia a meno di un mese moriva Papa Pio IX e su molti giornali liberali si scrisse con sarcasmo che forse Pio IX era morto dalla felicità. Ai funerali del pontefice vi furono tafferugli e disordini, i patrioti romani intendevano impossessarsi della bara del Papa anti-italiano e gettarla nel Tevere. Fu necessario inviare i bersaglieri per mantenere l’ordine.

L’Italia umbertina

Il nuovo Re Umberto I° ebbe sin da subito ottimi rapporti con il Kaiser Guglielmo I°, ora imperatore di Germania dopo la sconfitta della Francia nella guerra del 1870/71.

Nel 1868 la Regina Isabella II° di Spagna fu esiliata ed il trono rimase vacante. I repubblicani non avevano la forza di imporre la loro ideologia ed i monarchici chiesero alle case regnanti di proporre un candidato da far votare alle Cortes. I francesi non avrebbero accettato un candidato degli Asburgo, i tedeschi e gli inglesi un candidato francese etc. Cosicché si fece strada la candidatura di un Savoia, Quando nel 1713, dopo la pace di Utrecht, il Regno di Sicilia era stato assegnato ai Savoia, questi ereditarono l’ingresso nell’asse ereditario di Spagna, quindi scambiarono subito il Regno di Sicilia con il Regno di Sardegna, anche questo dei Borbone. Poi nel 1860/61 erano entrati in possesso del Regno di Napoli, Borbone anch’esso. Re Vittorio Emanuele II° mandò il fido Generale Enrico Cialdini a testare la possibilità fra la nobiltà spagnola di eleggere Re suo figlio secondogenito Amedeo. Gli spagnoli si dimostrarono favorevoli. Quindi si testarono le volontà francesi, austriache ed inglesi. Gli austriaci erano concordi, in quanto la madre di Amedeo era una Asburgo-Lorena, i francesi in quanto la moglie era di famiglia francese. Gli inglesi non temevano i Savoia e quindi furono d’accordo. I Tedeschi, visto che nessuno aveva da eccepire, acconsentirono anche loro. La proposta fu avanzata ufficialmente e le Cortes spagnole, il 16 novembre 1870, elessero Re Amedeo di Savoia con il nome di Re Amedeo I di Spagna. Il Savoia ottenne 191 voti, 60 furono per la Repubblica Federale, oltre a 41 per altri candidati e 19 schede bianche. Aveva ottenuto la maggioranza assoluta ed il Savoia fu dichiarato Re. Si trasferì a Madrid, ma i problemi sorsero immediatamente, Amedeo era abituato ad entrare ed uscire dal palazzo reale a suo piacimento, frequentare tabarin, balere e soprattutto amanti. Cosa impossibile con il rigido e “cristianissimo” cerimoniale Borbonico, che anzi prevedeva messe, vespri e rosari. Poi vi erano i problemi delle ultime colonie spagnole perennemente in rivolta e le sommosse repubblicane in spagna. Infine subì un attentato al quale sfuggì per puro caso. Era troppo, rinunciò alla corona nel 1874 e se ne tornò in Italia riprendendo il titolo di Duca d’Aosta, certamente più modesto, ma che gli concedeva molta più libertà.

Re Umberto si impegnò per far avanzare l’Italia economicamente e socialmente, in quanto si stava esasperando il problema dell’emigrazione. Quindi si diede il via a grandi opere ed una vera spinta all’industrializzazione, tramite investimenti ottenuti da banche tedesche che ormai operavano in Italia da tempo. All’epoca l’agricoltura era ancora molto arretrata e molti siciliani e non solo erano emigrati in Tunisia, ben accolti dal governo locale. Questi emigrati, in breve tempo, creavano fattorie modello con grande beneficio sia loro che della società locale. L’Italia mise gli occhi sulla Tunisia e si iniziò a valutare una annessione all’Italia. Il governo tunisino era debole e l’esercito non impauriva, ma i problemi erano diversi: l’esercito italiano non aveva mai avuto esperienze coloniali, la Massoneria premeva per una unione e non una conquista in quanto la libertà dell’uomo, tunisino nel nostro caso, non sarebbe stata garantita. I pericoli di compiere una tale operazione a ridosso dell’Algeria, già conquistata dalla Francia e confinante con la Libia, che faceva parte dell’Impero Ottomano, non erano pochi. Il pericolo di una guerra intimoriva i comandi militari. E mentre in Italia si discuteva, la Francia mandò una spedizione militare nel 1881 e conquistò Tunisi. L’Italia protestò in quanto tutti sapevano degli interessi italiani sulla Tunisia e la forte presenza di coloni italiani in quelle terre, ma la Francia non rispose. L’Inghilterra aveva ben altri problemi: Zulù, Boeri, Afganistan e non solo, quindi fecero spallucce. L’Italia si trovò sola e con una Francia aggressiva al confine. Il Kaiser Guglielmo, che nel frattempo aveva riallacciato i rapporti con l’Austria, consigliò a Re Umberto di fare altrettanto, non poteva permettersi un nemico al confine occidentale ed uno al confine orientale. Si discusse in parlamento, rimaneva aperta la questione di Trento e Trieste, ma aveva ragione il Kaiser. Cosicché i diplomatici concordarono un viaggio di Re Umberto a Vienna, nonostante il Presidente del Consiglio, il Massone Agostino Depretis, non fosse contento proprio per la questione di Trento e Trieste.

Il Kaiser Francesco Giuseppe e Re Umberto a teatro a Vienna nel 1881.

Il viaggio fu un successo, in quanto l’Austria aveva dei problemi nei Balcani sia con la Russia che la Serbia ed intendeva togliersi il problema italiano.

Al ritorno del Re, Depretis si disse convinto dell’alleanza con l’Austria, purché non si traducesse in una guerra con la Francia. All’epoca governata dal Massone Léon Gambetta, con il quale Depretis aveva provato a trovare una soluzione alla questione tunisina, senza riuscirvi.

Bismarck aveva fretta di concludere l’alleanza perché nel 1882, a Varsavia, il generale russo Michail Dmitrievič Skobelev, eroe delle conquiste russe in oriente, si rivolse ai polacchi ed a tutti gli slavi affinché si riunissero in una grande nazione slava, naturalmente sotto la guida della Santa Madre Russia. Bismarck, temendo problemi dalla Polonia alla Bulgaria, allora ancora sotto il dominio ottomano, telegrafò al governo austriaco chiedendo di appianare i problemi e le diffidenze con l’Italia e di firmare l’alleanza. Cosicché il 20 maggio del 1882 fu firmato l’accordo. Vi era specificatamente indicato che nel caso di attacco della Francia all’Italia, Austria e Germania sarebbero accorse in aiuto di Roma. Il governo italiano ora era tranquillo, ma quello francese alquanto indispettito.

Cartolina pubblicitaria della Triplice Allenza del 1888. In alto Re Umberto, sotto il Kaiser Guglielmo II° (nuovo Kaiser, nipote di Guglielmo I) ed il Kaiser Francesco Giuseppe.

Quindi avvenne un fatto alquanto curioso. Un giovane Massone, Guglielmo Oberdan, depresso e frustrato per l’alleanza dell’Italia con l’Austria, recuperò a Roma due bombe e partì per Trieste per compiere un attentato all’Imperatore Francesco Giuseppe che doveva giungere in visita alla città, in compagnia di tale Donato Ragosa. Cercando di attraversare clandestinamente il confine fu catturato dopo che ebbe sparato ad una guardia confinaria. Interrogato, inizialmente diede un nome falso, poi invece, dichiarò dinnanzi al Magistrato che il suo intento era di uccidere l’imperatore. Il 20 ottobre 1882 il tribunale lo condannò a morte. Gli appelli alla grazia giunsero dai Massoni Victor Hugo e Giosuè Carducci, solo per citarne due. Ciò nonostante il 4 dicembre 1882 Oberdan fu impiccato. Nei giorni successivi, forse sospettando la mano francese dietro l’avvenimento, volta a far fallire l’alleanza, il Ministro degli Esteri Pasquale Mancini disse in aula che se è vero che Trento e Trieste sono territori italiani, lo sono anche Nizza, Savoia e Malta e non per questo l’Italia sta meditando la guerra contro Francia e Inghilterra.

Da quel momento, sino alla fine del secolo, l’Italia si barcamenò fra crisi finanziarie e tentativi più o meno avventurosi di creare delle colonie in Eritrea, Somalia ed Abissinia.

Il 6 giugno del 1889 a Roma, in piazza Campo dé Fiori venne inaugurato il monumento a Giordano Bruno, voluto e finanziato dalla Massoneria. Opera del massone Ettore Ferrari, futuro Gran Maestro. Alla cerimonia erano presenti le massime autorità massoniche e civili, fra cui Ernesto Nathan futuro sindaco di Roma e Gran Maestro, il filosofo Giovanni Bovio e Adriano Lemmi, quest’ultimo ebbe a dire che la fine del potere temporale della Chiesa era il più memorabile avvenimento della storia.

Come abbiamo visto, nel meridione in generale ed in Sicilia in particolare, la situazione della distribuzione delle terre passate dalla Chiesa al Demanio languiva, ed i braccianti continuavano a vivere in condizioni miserevoli, in balia dei proprietari terrieri locali. Il 18 marzo 1889 a Messina Nicola Petrina, un attivista socialista, fondò una associazione detta Fascio dei Lavoratori, una via di mezzo fra un sindacato ed una Società di Mutuo Soccorso. Il termine Fascio derivò dalla leggenda dell’antica Roma ove un padre insegnava ai figli che la famiglia doveva stare unita, in quanto chiunque poteva spezzare un ramo, ma se i rami sono uniti, nessuno li spezzerà. Il massone Giuseppe De Felice Giuffrida, il 1° maggio 1891 fondò a Catania l’organizzazione dei Fasci Siciliani, De Felice era un politico e giornalista di ispirazione socialista. La sua organizzazione, di ispirazione democratica, socialista e tradizionalista nella visione sociale e famigliare ebbe grande successo. Le sezioni si aprivano ovunque in Sicilia e superò i 300.000 iscritti. Vi furono manifestazioni in favore dei braccianti e dei diseredati, per ottenere lavoro e contro la diminuzione dei salari. La grande diffusione portò a due problemi, la mafia infiltrò l’organizzazione per ottenerne il controllo e l’ingresso di elementi di tendenze estremiste che portarono a scontri anche molto violenti. I latifondisti, sovente i nobili locali, invocarono il ripristino della pace sociale ed il governo intervenne anche duramente. Poi la svolta. I Fasci Siciliani chiesero per i lavoratori delle zolfatare l’età minima di 14 anni per accedere al lavoro, la riduzione dell’orario e l’aumento degli stipendi; iniziarono scioperi e manifestazioni, vi aderirono braccianti e contadini, arrivando ai ferrovieri che bloccarono il traffico ferroviario. Ma, come abbiamo già visto precedentemente, le zolfatare erano di interesse inglese. Vi furono pressioni politiche sino a quando giunse sul tavolo del governo una relazione dettagliata di un complotto internazionale ordito da Francia e Russia per favorire la rivolta e quindi l’indipendenza della Sicilia sotto il protettorato Russo-Francese. Secondo questi documenti de Felice aveva firmato un trattato, detto di Bisacquino, dalla località siciliana ove sarebbe stato firmato, con i rappresentati della Repubblica Francese e dello Zar, il tutto favorito dalla mediazione del Vaticano. I documenti erano presentati dal Governo Crispi ed il medesimo si dichiarava alquanto preoccupato poiché vi si leggeva “Le relazioni con lo straniero erano pure avviate; ma le definitive decisioni furono prese in un convegno tenuto in dicembre a Marsiglia … Fu stabilita la insurrezione per la metà di febbraio, ma fortunatamente mancò in alcuni la virtù della pazienza … Si faceva correre la voce che una guerra sarebbe scoppiata nel 1894, si parlava dell’invasione del Piemonte; di flotte vincitrici nel Mediterraneo, dell’autonomia siciliana, ed anche di un porto da darsi alla Russia, che assumerebbe la protezione dell’isola nostra.” In parlamento scoppiò il caos, chi accusava la Francia, chi il governo di non saper proteggere la Sicilia, chi accusava di tradimento i componenti dei Fasci Siciliani, sino a quando, il 23 aprile 1894, chiese la parola il deputato Radicale Felice Cavallotti (appartenenza alla Massoneria non confermata) che pronunciò un mirabile discorso, ridicolizzando la congiura, attaccò Crispi che dichiarava di credere a queste sciocchezze, ammonì i colleghi dal credere a qualunque cosa “solo perché scritta su carta” e, quindi chiarì che “il famoso trattato fra l’Imperatore di Russia, il Presidente della Repubblica Francese ed il signor De Felice” era indicato come “trattato di Bisacquino” non perché vi fu firmato, peraltro luogo sicuramente ignoto in Russia ed in Francia, “ma perché era stato inventato dal Direttore della Pubblica Sicurezza di Bisacquino, il napoletano Sessi”. Invece di capire chi potesse aver ispirato il funzionario, scoppiò il caos a chi credeva alle parole di Cavallotti e chi credeva al rapporto delle Polizia. Nel frattempo le rivolte proseguivano in Sicilia e si stavano diffondendo in Italia. Intervenne l’esercito e l’ordine fu ristabilito, i capi facinorosi dei Fasci Siciliani furono arrestati ed i Fasci Siciliani sciolti. Inutile commentare che solamente l’Inghilterra trasse vantaggio da ciò, poteva continuare a sfruttare le miniere di zolfo a suo piacimento. De Felice fu condannato a 18 anni di carcere per la firma del fantomatico trattato con “potenze straniere ostili”, ma dopo due anni fu liberato. Si unì ai Socialisti Riformisti dei Massoni Ivanoe Bonomi e Leonida Bissolati, fu vicesindaco di Catania e quindi Presidente del Consiglio Provinciale. Nel 1897 fece parte della Legione Italiana guidata da Ricciotti Garibaldi, figlio dell’Eroe dei Due Mondi; assieme ad altri ex componenti dei Fasci Siciliani combatté a fianco dei greci contro i turchi per la liberazione di Creta. Nel 1914 si dichiarò interventista.

Il 20 settembre 1895 sul Gianicolo a Roma fu inaugurato un monumento dedicato a Giuseppe Garibaldi. Opera del Massone Emilio Gallori, rappresenta l’Eroe dei due Mondi a cavallo.

Il monumento equestre a Garibaldi in una cartolina del 1910. Alla base una corona bronzea con ben evidenziata squadra e compasso.

L’epoca detta “Umbertina”, dal nome del Re, terminò tragicamente il 29 luglio del 1900 quando il Re stesso morì assassinato a Monza. Non è qui il luogo per analizzare l’avvenimento, ma occorre ricordare che negli ultimi decenni del XIX sec. ed i primi anni del XX sec. furono insanguinati da una serie di attentanti ai regnanti di Germania, Austria, Russia e Italia. Come se un piano ben organizzato volesse distruggere le monarchie europee, salvo quella britannica, che non subì attentati. La distruzione di queste nazioni avvenne poi con la Prima Guerra Mondiale, dalla quale l’Italia uscì in ginocchio, mentre gli imperi di Germania, Russia ed Austria sparirono completamente.

Il Regno passò al figlio primogenito che assunse il nome di Re Vittorio Emanuele III, Massone come il padre ed il nonno. Con lui si sviluppò quella propaganda nazionalista, in stile Liberty, tipica di quegli anni in tutta Europa, ma in Italia con connotazioni volte ad esaltare la romanità del Regno e, sovente, con simboli massonici rappresentati.

Nella prima immagine abbiano il genio (femminile) d’Italia sormontato dal Pentalfa Raggiante, che fa incontrare l’Italia turrita con la Dea Bellona (Versione latina di Athena), protettrice di Roma. Gli abiti rappresentano il tricolore, la Dea ha la lupa sullo scudo, in basso l’aquila imperiale, uguale al simbolo del Rito Simbolico Italiano, un ordine massonico di perfezionamento, creato nel 1862, a cui possono accedere i massoni con il grado di Maestro. Nella seconda immagine il simbolo del Rito Simbolico Italiano. Nella terza immagine abbiamo l’Italia Turrita con il Pentalfa raggiante, che incita al coraggio le truppe italiane.

Non dimentichiamo che Dante Alighieri descrisse Beatrice, al suo incontro nell’Eden del Purgatorio, che era vestita con un abito rosso, aveva un velo bianco ed un mantello verde. Per molti studiosi di simbolismo, alchemico e spirituale, questa fu la rappresentazione che, presa da Dante, divenne la base per il tricolore italiano. In effetti, vediamo anche nella cartolina qui sopra, che l’Italia ha l’abito verde, il genio, etereo e più in alto, ha la tunica bianca, come il velo di beatrice, mentre Bellona/Athena indossa un mantello verde.

Nel 1901 il Grande Oriente d’Italia inaugurò la nuova sede in Palazzo Giustiniani a Roma, ma la Massoneria era percorsa da fremiti e tensioni, che si concretizzarono nel 1908 con la clamorosa scissione. Una parte delle Logge si separò e nel 1910 diede vita alla Serenissima Gran Loggia d’Italia, nota come Gran Logga di Piazza del Gesù, dal luogo di Roma ove vi era la sede. Le motivazioni erano di carattere politico, in quanto non vi erano differenze apprezzabili di riti o tradizioni. Occorre dire che il Grande Oriente d’Italia era sempre molto vicino al Governo ed alla casa regnante, mentre la Serenissima Gran Loggia era più vicina alle posizioni repubblicane e rivoluzionarie, quindi con buoni rapporti con la Massoneria francese. Il casus belli della scissione fu la mozione parlamentare del massone Leonida Bissolati che prevedeva il divieto dell’insegnamento religioso nella scuola primaria. Il Gran Maestro diede indicazione ai massoni presenti in parlamento di votare a favore della legge, ma non tutti lo fecero, forse proprio per creare il motivo di scontro ideologico e quindi la scissione.

I politici ed i partiti

Abbiamo già scritto che non abbiamo dati certi su quanti erano i massoni in parlamento, ma sappiamo che lo furono molti ministri e primi ministri: Cavour, Crispi, Depretis, Quintino Sella, Costantino Nigra, Giacinto Cibrario e molti altri.

Le elezioni del 3 giugno e del ballottaggio del 10 del 1900 portarono ad una prima chiara rappresentazione dell’esistenza di partiti organizzati. Vediamo i risultati:

Mentre i liberali, moderati e conservatori erano ancora legati alla concezione delle semplici correnti, da formare dopo l’elezione tramite elezioni uninominali, i Socialisti ed i Repubblicani avevano già creato un partito vero e proprio ed i loro candidati si presentavano con quell’etichetta. Occorre anche precisare che mentre i repubblicani erano quasi tutti progressisti il concetto di Socialismo era ancora non ben identificato, in quanto vi erano componenti conservatrici che si rifacevano al socialismo, prendendo a modello il “Socialismo di Stato” propugnato da Ottone von Bismarck.

Per rendere chiaramente riconoscibili i candidati, nacquero i simboli dei partiti. Il primo ad interessarsi a questo problema fu il Partito Socialista, che utilizzava la bandiera rossa repubblicana con sovente sopra ricamante una falce, rappresentante il lavoro agricolo, ed un martello, rappresentante il lavoro delle officine e degli artigiani. Ma i primi simboli resi pubblici furono la Marianna (simbolo della rivoluzione francese, calzante il berretto frigio, che regge dei garofani rossi); poi sulle schede elettorali si trovò la falce e martello con alle spalle il sole nascente, simbolo dei riti mithraici, noti nel mondo massonico. Il passo successivo fu il sole nascente con in primo piano il libro aperto con incrociati la falce ed il martello, ossia un simbolo massonico con la sostituzione della squadra e compasso con la falce e martello.

I primi simboli del Partito Socialista Italiano.

Come abbiamo detto, nel Partito Socialista convivevano diverse anime, a parte Mussolini ed i Sindacalisti-Interventisti che vedremo dopo, vi erano i Socialisti Riformisti del massone Leonida Bissolati, i Socialisti democratici del Partito Socialista Unitario ed i Socialisti Massimalisti, a cui aderirà il repubblicano Pietro Nenni e da cui, nel 1921, si scissero i Comunisti. Ebbene questi tre partiti socialisti avevano tutti e tre simboli di derivazione massonica:

Il Partito Socialista Riformista era rappresentato dal Pentalfa Raggiante, ossia il simbolo che è rappresentato alle spalle del Maestro Venerabile in Loggia. Simbolo che, come vedremo, diventerà quello della Repubblica Italiana.

Il Partito Socialista Unitario (Socialdemocratici) con il sole nascente, ossia il simbolo del momento dedicato al Dio Apollo che porta vita e prosperità, momento della giornata sotto la protezione del Dio Mithra.

Il Partito Socialista Italiano, anche Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, di ispirazione massimalista, ha rappresentato il libro aperto, che il Loggia è la Bibbia aperta sulla prima pagina del Vangelo di San Giovanni, con sopra la squadra ed il compasso intrecciati, qui sostituiti da falce e martello, derivanti dalle Società di Mutuo Soccorso. Dietro il sole, già illustrato.

Bibbia aperta con squadra e compasso come vengono disposti in Loggia all’inizio dei lavori. Nella seconda immagine squadra e compasso con il sole alle spalle.

Per quanto riguarda i Repubblicani, questi si presentavano come Partito Repubblicano, come Partito d’Azione (Mazziniani) o come Giustizia e Libertà. Salvo poi riunirsi in parlamento in un unico gruppo. Se per il Partito repubblicano, vi era come simbolo la classica foglia d’edera su una bandiera rossa, per le altre due formazioni, i simboli erano simili e di chiara origine massonica. Vediamo:

Sia le liste del Partito d’Azione che di Giustizia e Libertà hanno come simbolo la spada fiammeggiate, simbolo massonico descritto di seguito.

Spada fiammeggiante, in dotazione al Maestro Venerabile, che viene utilizzata per l’iniziazione del profano. Deriva dalla tradizione biblica dell’Angelo di guardia dell’Eden e dalla tradizione del Profeta Elia. Nella seconda immagine una statua di Elia con la spada fiammeggiante.

Anche il Partito Radicale, da non confondere con quello presente nel panorama politico italiano degli ultimi decenni, adottò come emblema un simbolo massonico.

Come simbolo venne utilizzato il volto della Marianna con il berretto frigio.

FINE QUARTA PARTE – CONTINUA…

Di  MARCO E. DE GRAYA

(Prima parte: ORIGINE DELLA MASSONERIA IN ITALIA)

(Seconda parte: UNITÀ D’ITALIA E MASSONERIA)

(Terza parte: LA QUESTIONE ROMANA)

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