Oggi rinnoviamo l’appuntamento con i contributi che gli amici di Facciamo Finta Che hanno inviato alla nostra redazione, dando vita alla sezione che abbiamo chiamato Faranno Finta Che, appositamente dedicata a tutti coloro che vogliono farci pervenire un loro scritto sulle tematiche che affrontiamo sul canale. In questo nuovo articolo di Claudio Martinotti Doria verrà approfondita la tematica del vampirismo. Buona lettura!
Può capitare che l’eccessivo successo di un argomento, intensamente diffuso da ogni media e sfruttato per speculazioni commerciali di basso profilo, finisca per provocare una reazione di repulsione da parte della scienza ortodossa ed accademica, per cui l’argomento non viene più trattato se non con estrema cautela e da parte di nuove leve della disciplina coinvolta. In alcuni casi la tematica o l’intera disciplina di studi viene addirittura emarginata e ridimensionata per molto tempo penalizzandola immeritatamente, come è accaduto ad esempio per la parapsicologia negli ultimi decenni, soprattutto in Italia, dove aveva raggiunto un ottimo livello di sperimentazione ed applicazione, in seguito al grande successo televisivo ai tempi di Massimo Inardi (parapsicologo del CSP Centro Studi Parapsicologici di Bologna) quando partecipò a Rischiatutto tra la fine del ’71 e l’inizio del ’72, cui seguirono numerose trasmissioni tv sulla parapsicologia, anche grazie al contributo della giornalista e ricercatrice Paola Giovetti.
Questi fenomeni reattivi piuttosto accentuati non giovano alla cultura ed all’evoluzione sociale, in quanto creano disorientamento e confusione, provocando punte di forte interesse ed abbandono e degrado quasi repentino ed ingiustificato, finendo per fare il gioco di coloro che si limitano solo a speculare venalmente (non certo filosoficamente) su determinati argomenti, finendo per divenire il prevalente modo di affrontarli e proporli, condizionando di conseguenza le credenze e la cultura popolare. Mi riferisco ad esempio all’altro argomento divenuto fin troppo di moda negli ultimi anni, il VAMPIRISMO, di cui la cinematografia, la letteratura e la televisione hanno inondato il mercato oltre ogni misura, fino a pervenire a prodotti di bassissimo profilo, indegni persino di considerazione.
La reazione ad un simile fenomeno di massa (simile a quello sugli UFO di qualche decennio fa e conseguente serie tv di successo “X File“) è quello di dividere in due l’opinione pubblica, non so in quale percentuale perché studi e sondaggi in proposito non mi risulta siano mai stati effettuati, tra coloro che credono che i vampiri siano solo frutto di fantasia e credulità popolare, senza alcun fondamento reale e storico-culturale, e coloro che in fondo ci credono o forse ci credono anche troppo, fino a praticare forme di culto, ossessione e paranoia. Entrambe le posizioni sono frutto di una conoscenza superficiale e distorta del fenomeno e soprattutto una carenza di studi storici. Ma non è colpa loro: la storiografia si occupa in prevalenza di argomenti che interessano l’ambiente accademico, oppure si occupa di ciò che interessa al datore di lavoro superiore, cioè allo stato, e la scrivono soprattutto i vincitori, sempre e comunque, e quindi la storia locale e cosiddetta minore non trova spazio, specialmente se tratta argomenti pericolosi per lo status quo, pertanto se volete studiarla dovete faticare a ricercare tracce e documenti in archivi e biblioteche defilate ed edizioni a tiratura limitata, poco accreditate ed esaurite da tempo, ecc..
Il vampirismo consideriamolo pure una superstizione e tradizione folcloristica come riportato in tutte le Enciclopedie, ma riconosciamo almeno che la sua diffusione è praticamente universale, perché presente in tutte le tradizioni, culture, mitologie ecc., dei popoli di tutto il mondo con le inevitabili varianti, in particolare dell’Europa Centro Orientale e Balcanica. Divenne un vero e proprio fenomeno socioculturale e di ordine pubblico con casi si isteria collettiva ed omicidi perpetuati per una presunta difesa popolare (che potrebbero definirsi linciaggi), paradossalmente proprio nel Secolo dei Lumi, in particolare nella prima metà del XVIII secolo e nei seguenti paesi e località: Serbia, Valacchia, Boemia, Ungheria, Slovenia, Carinzia, Istria, Grecia, Slesia e Lorena.
Jean-Jacques Rousseau scriveva nella sua epoca che il vampirismo aveva una storia realistica e dimostrata, suffragata da rapporti ufficiali, testimonianze attendibili di chirurghi, preti, giudici, ufficiali dell’esercito, le prove ci sono tutte … Molti studiosi, soprattutto in seguito al periodo sopra indicato in cui il fenomeno si diffuse divenendo di dominio pubblico, dimostrarono serietà non confutando arbitrariamente la tesi dell’esistenza dei vampiri et simila, ma ricorrendo al dubbio, che rese loro onore, e scoprirono che il fenomeno aveva radici molto antiche, rinvenendone tracce nelle più antiche civiltà conosciute, ed affermarono che sarebbe stato troppo riduttivo confinare tale fenomeno nel novero delle superstizioni dovute all’ignoranza popolare.
La convinzione popolare sul vampirismo era talmente resistente, diffusa e radicata da aver resistito per secoli senza neppure essere scalfita dalle ingerenze religiose e statali tendenti a reprimerla e sradicarla. Erano soprattutto i governi dell’epoca ad essere preoccupati dal fenomeno del vampirismo, perché insidiava l’ordine e l’autorità pubblica, ed infatti le prove documentarie del fenomeno sono soprattutto giacenti presso gli archivi statali, trattandosi perlopiù di rapporti e relazioni frutto di inchieste condotte da missioni, commissioni e delegazioni inviate sui luoghi degli eventi da parte delle autorità civili e militari locali o addirittura dai principi regnanti.
Queste antesignane equipe tecnico-scientifiche dell’epoca, erano incaricate dalle massime autorità di indagare con scrupolo sui fenomeni di cui si era avuta notizia e denuncia formale, che allarmavano le popolazioni coinvolte diventando un pericolo di crisi per la stabilità sociale. Erano generalmente formate da magistrati, ufficiali dell’esercito, chirurghi, teologi, nobili con incarichi di corte, studiosi accreditati, ecc., e siccome ne andava della loro reputazione e carriera, dobbiamo presumere che si sforzassero al massimo di essere precisi, scrupolosi e prudenti del redigere i vari verbali ed il ben più importante rapporto finale della missione, che avrebbe anche potuto essere letto dal Re o Imperatore, attenendosi pertanto ai fatti accertati e documentati ed astenendosi da ogni interpretazione (che sarebbe stata piuttosto rischiosa e con gravose ripercussioni).
In primo luogo è necessario puntualizzare che il vampirismo che potremmo definire “storico” ha poco o nulla a che vedere con quello letterario e cinematografico recente, i cosiddetti vampiri non succhiavano affatto il sangue alle vittime e non erano una specie aliena ed immortale causata dalla propagazione per morsi contagiosi o per virus misteriosi, ecc., ma erano semplicemente considerate persone morte e sepolte che sono state viste tornare in vita e girovagare per villaggi ed isole (soprattutto balcaniche e greche) ed anche parlare ed intrattenersi coi vivi, ed in particolare perseguire e terrorizzare le proprie famiglie (vedove ed orfani).
Il mito del vampirismo fu favorito certamente dal riscontro avvenuto centinaia di volte, con tanto di documentazione da parte delle autorità locali e delle commissioni di inchiesta inviate sui luoghi, di cadaveri perfettamente conservati, ritrovati praticamente intatti come al momento della loro sepoltura (avvenuta anche decenni prima), dopo averli riesumati perché avvistati, da testimoni attendibili, mentre si aggiravano per strada e presso le loro precedenti abitazioni, come fossero ancora vivi.
Le missioni di cui vi farò un breve cenno sono un paio su centinaia di cui si ha notizia, la prima è quella del conte Cabreras, ufficiale di un Reggimento di Fanteria durante il regno di Carlo VI d’Asburgo del Sacro Romano Impero, che avvalendosi di uno staff composto come in precedenza descritto, fu incaricato dal suo Quartier Generale (su richiesta del Consiglio di Guerra) di condurre un’inchiesta su presunti episodi di vampirismo avvenuti in un villaggio di montagna militarmente presidiato al confine tra Austria e Ungheria. A far pervenire le denunce fino a Vienna di questi eventi, che altrimenti sarebbero rimasti confinati in impervie zone di montagna, ha sicuramente influito il fatto che furono coinvolti soldati di guarnigione nell’area, i quali riferirono di aver parlato ed interagito con personaggi incontrati per caso, schivi e taciturni, che poi si rivelarono essere morti e sepolti da tempo.
L’inquietudine per non dire terrore, suscitato tra i soldati da questi episodi ed il passaparola che ne seguì, rese necessario intervenire per evitare il panico ed il disordine tra le truppe e l’opinione pubblica. La missione del conte Cabreras procedette con determinazione, interrogò tutti i soldati coinvolti, trovò conferme testimoniali presso parenti ed amici dei presunti vampiri ed anche presso le autorità locali, riesumò tutti i cadaveri ritenuti implicati, li trovò prevalentemente intatti ed applicò i criteri in vigore all’epoca, tra cui la decapitazione ed il conficcare un chiodo nel cranio, come in uso soprattutto in Russia e poche altre aree continentali. Nella maggioranza delle aree infestate da questi fenomeni si ricorreva invece alla combustione del corpo o si conficcava un paletto di legno nel petto, all’altezza del cuore.
Cabreras bonificò in tal modo l’intero villaggio e poi stese il rapporto e tornò al Quartier Generale che, avallato il lavoro svolto, inviò l’intera documentazione a Vienna. Era l’anno 1715, quindici anni dopo, su sollecitazione di alcuni studiosi che volevano riferirsi alla sua esperienza, il conte Cabreras confermò in toto il suo rapporto che venne in tal modo pubblicamene divulgato. Il rapporto al tempo della sua prima stesura fu ritenuto talmente attendibile che convinse l’imperatore a istituire alcune Commissioni d’Inchiesta specializzate per analizzare ed indagare scientificamente su questi fenomeni in generale ed intervenire operativamente in seguito alle denunce pervenute, che in alcuni anni del suo regno raggiunsero dimensioni veramente preoccupanti.
Il secondo episodio cui voglio accennare avvenne nel 1728 nel villaggio di Madwegya in Serbia (attualmente geograficamente non risulta alcun borgo con tale denominazione, forse nel frattempo modificata), sempre sotto la giurisdizione del Sacro Romano Impero e dello stesso Imperatore. I casi di vampirismo denunciati in questo frangente divennero rapidamente famosi in tutto il mondo, forse perché preceduti da quelli cui si riferiva la missione Cabreras di una decina di anni prima. Ci fu una prima inchiesta ordinata dal governatore e vicerè della Serbia che ne affidò la conduzione ad un suo luogotenente, un certo Buttner che, con quattro chirurghi militari e civili di fama, si dedicò a lungo alla missione fino alla sua conclusione agli inizi del 1732, il cui rapporto come sempre fu inviato a Vienna.
Le altre commissioni di inchiesta che si occuparono del caso furono quella condotta dal Comandante in capo delle forze di occupazione in Serbia, il famoso marchese Antoniotto Botta Adorno, Feldmaresciallo del Sacro Romano Impero (1688-1774, della potente dinastia patrizia lombardo-ligure dei Botta Adorno) il quale pure si avvalse di un’equipe di chirurghi che alla fine inviò la sua relazione al Consiglio di Guerra. Il linguaggio con cui si decise di redigere la relazione finale fu volutamente scarno e preciso, attenendosi esclusivamente ai fatti accertati, riportando i risultati delle indagini necroscopiche condotte sui supposti vampiri, che furono ritenute degne di fede e ne conseguì un quadro per molti aspetti sconcertante ed incontestabile, in quanto l’equipe di studiosi era di assoluta competenza e l’onestà e preparazione scientifica non poteva essere messa in discussione. Le risultanze di questa inchiesta ricalcano quella precedente cui ho già accennato, i corpi riesumati erano intatti ed erano stati visti in movimento da una pluralità di testimoni attendibili.
In seguito a questi episodi si registrò successivamente quello che non può che essere definito un’epidemia di vampirismo in tutta la Serbia con episodi di isteria collettiva, e fioccarono centinaia di denunce nella capitale Belgrado, a ritmi quasi quotidiani, e le relazioni si accumulavano negli archivi. Il fenomeno venne anche definito “revenenza” (il vampiro era definito revenente) ossia un ritorno nel corpo di un morto con lo scopo di nuocere ai propri famigliari ed amici. Ne riferirono per primi alcuni studi di teologi specializzati nel vampirismo, i quali comprensibilmente lo imputavano ad un intervento demoniaco, che impossessandosi del cadavere insidiava la fede ed il cuore degli uomini coinvolti. L’unica soluzione sempre consigliata in questi frangenti era la decapitazione dei cadaveri, a seconda dei luoghi veniva anche conficcato un paletto nel cuore ed un chiodo nel cranio.
In altre culture, soprattutto nel passato, si era ricorso alla cremazione. A tal proposito lo studioso Henri Hubert (storico, antropologo e sociologo collaboratore di Marcel Mauss) spiegava che a suo avviso il ricorso frequente in molte popolazioni ed epoche storiche alla cremazione anziché alla tumulazione poteva essere dovuto al sostanziale desiderio precauzionale (una sorta di principio di precauzione tanatologico) di evitare che il morto tornasse in vita come vampiro o nelle altre innumerevoli denominazioni con cui veniva identificato nelle varie culture. Infatti dove vigeva tale pratica difficilmente si riscontrarono episodi di vampirismo.
Quindi concludendo, nei limiti del possibile, è inquietante e paradossale riscontrare come sia proprio durante il secolo dell’Illuminismo che si sviluppò il fenomeno del vampirismo in Europa e nonostante un approccio scientifico e raziocinante, delegando prevalentemente la Tanatologia (sia forense che antropologica) ad occuparsene, non si trovarono spiegazioni ed interpretazioni esaurienti del fenomeno. I vari ricorsi interpretativi inerenti l’incorruttibilità dei corpi riesumati erano ritenuti piuttosto generici e superficiali, come lo stato di “grazia” o di “maledizione” attribuibile magari alle sostanze venefiche di cui il terreno di sepoltura poteva essere impregnato. Anatomopatologi invece fecero osservare che in alcuni casi, soprattutto quelli avvenuti in Serbia, potevano essere attribuibile al clima freddo dei luoghi che poteva surgelare i cadaveri, ma la spiegazione era facilmente criticabile, perché le stagioni esistono anche nelle località di montagna, dove non fa sempre freddo e la decomposizione avrebbe dovuto comunque prima o poi avvenire. Più credibile invece era la cosiddetta “sepoltura prematura”, cioè l’errata constatazione della morte, che portava a tumulare una persona ancora viva convinti fosse morta. In tal caso si spiegherebbero i segni di vita rilevati in alcune bare, come unghiate e tracce di sangue e rumori avvertiti nel cimitero (causati anche da produzione di gas). Ma non è possibile che tutti i casi riscontrati siano attribuibile ad una simile ipotesi.
Per quanto riguarda l’abnorme crescita dei denti (per la cronaca non erano solo gli incisivi) poteva essere attribuibile alla regressione delle gengive causata dai processi degenerativi del trapasso. Ma per la maggioranza dei fenomeni somatici connessi alle riesumazioni non esisteva spiegazione scientifica, come per la purezza della pelle e la percezione di vitalità e la fluidità dei liquidi corporei, come se fossero ancora in vita.
L’argomento merita sicuramente approfondimento da parte di molte discipline scientifiche, che dall’epoca in cui avvennero gli eventi descritti hanno fatto passi avanti giganteschi oppure sono di recente costituzione (in genere per abbinamento ed evoluzione di una pluralità di discipline precedenti) e quindi la scienza dispone ora di più efficaci strumenti tecnologici e culturali per analizzare ed interpretare il fenomeno, ma lo si potrà fare solo se si supereranno i pregiudizi che inducono repulsione e che producono difese psicologiche e culturali negli studiosi, che sono indotti a non occuparsene per non rischiare denigrazioni e critiche gratuite, penalizzando la propria carriera.
di Claudio Martinotti Doria