No, non temete, non sono depressa, non più almeno, ma oggi voglio parlarvi di questo nesso strettissimo tra depressione e perfezione. Le 5 Leggi Biologiche insegnano che la depressione è la risposta biologica sensata a una programmazione deleteria di perfezione che ci è stata immessa dalla cultura, ma che in natura semplicemente non esiste. In natura, infatti non vi sono esseri più o meno perfetti, ma semplicemente più o meno adatti; la perfezione viene dalla cultura (e dalla sua infrastruttura, che sono le religioni): “siate perfetti, come perfetto è il Padre mio”… Vi dice niente?
Quando ho fatto il collegamento nella mia mente si sono accese mille luci, il cervello si è trasformato in un poga-party di sinapsi attraverso cui gli impulsi nervosi sfrecciavano: avevo capito una cosa grossa!
Ho sorriso dentro una bestemmia, una di quelle cattoliche, ovviamente, perché così sono cresciuta, e anche se mi sono fatta sbattezzare, quella IN-formazione mi è rimasta dentro, e quindi se e quando me la devo/voglio/posso prendere con una divinità, sarà necessariamente – è proprio il caso di dirlo – un povero cristo cattolico… E dopo la bestemmia sorniona ho lasciato andare, ho restituito il ruolo di “figlia perfetta” come il padre celeste a chi me l’aveva appioppato inizialmente: mio padre. Senza dirglielo, ovviamente, non è che puoi andare da uno e dirgli: “hey! che cosa cazzo ti è venuto in mente di fare 41 anni fa, quando mi hai inconsapevolmente programmata a essere perfetta come Dio, in modo che poi fossi frustrata per tutta la mia esistenza?” Sono cose che al limite si possono pensare, ma dirle serve a poco, anche perché poverino, come direbbe Malanga, lui NON LO SA che mi ha programmata così, perché lui stesso è stato programmato così! Ecco! Quindi sì, lo sa, ma non sa che è un male, e quindi non c’è responsabilità, e tanto meno colpa.
Certo, qualche adepto della New Age potrebbe obiettare che però, se mai glielo dici, mai si responsabilizzerà… Verissimo. E un altro suo collega potrebbe ribattere: eh ma, il maestro arriva quando l’allievo è pronto, e tu non puoi caricarti pure del nuovo ruolo di “maestra di tuo padre”… a quello ci pensa già mio fratello, che in perfetta coerenza con la programmazione ricevuta (pure lui è stato educato, addestrato e informato a essere “perfetto” come il padre celeste), è diventato prete, e quindi padre cattolico e dunque PADRE DI MIO PADRE. E io? Beh, io mi chiamo come la MADRE DI MIO PADRE… A questo punto chi conosce le costellazioni familiari si starà fregando le mani! Per di più mio padre si chiama Pietro… “e su questa pietra fonderò la mia chiesa”, e mia madre Maria Veneranda, la Signora da venerare… Sticazzi direbbe qualcuno, perché sì, va bene la spiritualità, ma quanno ce vò, ce vò, e infatti ci ho dovuto scrivere un libro intero per risolvere questa situazione.
Ma se siete dei lettori attenti, avrete notato che parlando di mio fratello ho scritto: “in perfetta coerenza”, quindi torniamo alla perfezione e al suo nesso con la depressione, che è il focus di questa debordante e sfaccettata paginetta intimistica…
La depressione ti salva dalla perfezione, perché dopo la perfezione c’è solo la morte. Me lo diceva anni fa il dottor Giuseppe Cocca quando parlavamo al telefono per ore per cercare di risolvere questo complesso… E mi è tornato in mente ascoltando la sua seconda intervista condotta da Gianluca sul canale eponimo di questo blog, Facciamo Finta Che, proprio questa settimana. Giuseppe è un vero filosofo socratico, che ti estrae la verità dalle viscere (racham, in ebraico, che indica anche l’Utero e il Cuore di dio, come racconto nel libro) e te la fa sputare fuori e appena l’hai detta, tu stesso ti sei trasformato, e di verità sul cibo e le nostre convinzioni inconsce ne abbiamo tante da scoprire… Magari al telefono mi aveva pure detto che probabilmente il mio perfezionismo veniva proprio da lì, dal “Libro” (non il “mio” libro, ma “IL LIBRO”, la Bibbia), ma l’informazione non era penetrata come ha fatto poche settimane or sono, mentre ascoltavo un video di Giorgio Beltrammi, che ha accettato di partecipare a una prima chiacchierata sul canale.
In un suo intervento sul web in relazione alle 5 Leggi di Hamer ha spiegato questo nesso tra la perfezione e la depressione è nella mia testa è risuonata la frase incriminata (siate perfetti come perfetto è il padre mio) perché per una magica coincidenza junghiana proprio il giorno prima ero a pranzo con mio padre e mio fratello a festeggiare il 75° giro attorno al sole di Pietro. Le due figure maschili si sono fuse in una sola che predicava al tavolo di cucina e invitava alla perfezione. Ovviamente la scena reale non si è svolta così, ma lo psicodramma nella mia testa ha creato questa “sacra rappresentazione” che si è conclusa con una bestemmia fiorita in un sorriso e una restituzione simbolica del ruolo di “figlia perfetta”: “tieni, non dico nemmeno che “ho fallito e quindi rinuncio”, perché lungi dal fallire, la rinuncia alla perfezione è un successo, un sì alla vita, in tutti i suoi aspetti incasinati e creativi”. Hai visto mai che pure mia madre è morta di cancro – al colon – perché la rigidità in cui era stata incanalata da quel nome non le permetteva altro che correggere compiti e poi morire? Già, perché se sei da venerare e sei per di più una Maria cattolica, devi, devi assolutamente, devi per forza essere perfetta e perfezionare gli altri, e infatti correggeva i compiti di italiano, la grammatica, la coniugazione dei verbi…
Ah, dio! Com’è bello restituire! Perché quando rendi, crei spazio dentro, e soprattutto smetti di portare un peso che non è tuo, che non mi è mai appartenuto, e che però con la sua sola presenza DENTRO di te ti ha plasmato dall’interno, trasformandoti. Ed è stato così che ho capito anche di non essere affatto un enneatipo 5 (l’eremita) ma una creativissima 4, emotiva al massimo, sensibile e sensitiva, sotto ogni punto di vista. Quando fai COMPROMESSI, diceva sempre Giorgio Beltrammi in un altro intervento sulle 5 Leggio Biologiche, poi devi comprare un sacco di cose per dimenticarti chi sei e cosa vuoi davvero, e le cose che compri, poi ti possiedono, diceva Tyler Durden in Fight Club. E non a caso il personaggio nella scena del bar invita proprio a “smettere di essere perfetti”. Pensare che ho visto questo film decine di volte, ma questa frase l’ho sentita solo adesso che ho lasciato andare il perfezionismo. Nell’altra scena iconica, quella del baciamano, Tyler afferma: “i nostri padri per noi erano come dio, se loro se la svignavano, questo cosa ti fa pensare di Dio?”. Che magari non era perfetto nemmeno lui…
Un’altra cosa che accade quando restituisci ciò che non è tuo, soprattutto in termini di ruoli imposti o peggio ancora, autoimposti, è che scopri chi sei davvero e inizi ad accontentarti. Questo è un concetto splendido che mi è apparso nella sua accezione positiva solo poco fa, come una vera e propria teofania, grazie al mio compagno, che molto opportunamente porta un nome divino, per la precisione “il nome di Dio” in ebraico. Ecco, questo dio in terra che mi ha scelto per compagna (per inciso, tutti siamo divini, ma pochi lo sanno) un giorno ha risolto una conversazione dicendo: “Amore, accontentati, non nel senso di farti andare bene le cose, anzi! Accontentati vuol dire rendi contenta prima di tutto te stessa e poi pensa agli altri”. Già: prima dobbiamo adempiere al ruolo che NOI ci siamo scelti per noi stessi, e riempire così la nostra coppa, e poi vedrete come traboccherà…
Questo intenso stream of consciousness sulla perfezione mi riconduce alla Bibbia, non perché parli di un “Essere perfettissimo”, ma perché, come Mauro Biglino ha spesso ricordato durante le interviste con Gianluca, è un libro pieno di riscontri storici e psicologici.[1] Più precisamente, l’istruzione inconscia a essere perfetti, oltre a innescare sovente la depressione come forma di difesa, crea molte volte anche delle “sindromi del salvatore” mica da ridere! Infatti, ancora Giorgio Beltrammi spiegando le 5 Leggio Biologiche ha affermato: “meno male che non sono diventato medico, perché mi sarei preso troppo a cuore i pazienti e questo non va bene, bisogna sempre mantener un certo distacco”.[1] Per altro, in una ancora una volta perfetta risonanza con l’ordine post-ipnotico ad essere perfetti, il salvatore lo è (perfetto) così tanto che non può nemmeno ammalarsi, e quindi non manda il certificato medico: va a lavorare anche con la febbre (persino durante il triennio plandemico…) e piuttosto muore alla scrivania, ma non molla finché il medagliere alle sue spalle non trabocca di medaglie d’onore… e di un degno necrologio. Mi correggo: non è vero che non si ammala; anzi! si ammala fino a morirne, ma non permette ai sintomi di emergere, oppure li ignora, o ancora, quando sono troppo evidenti… diventano essi stessi delle medaglie in un – ancora una volta perfetto! – circolo vizioso di input e output.
Tanti anni fa, quand’ero buddista, il mio mastro era Italo Cillo – Rishi Chony Dorje, che oltre a predicare e incarnare ottimamente la via della folgore era pure un guru del network marteking. Una volta lo invitarono a una conferenza in cui vari relatori avevano parlato di prosperità, strategie di vendita et similia e nel suo intervento spiegava come liberarsi dalla corsa del topo: i topi Alfa comandano per natura, i topi Beta sono gli obbedienti esecutori e poi ci sono i Gamma, gli outsider, quelli che “a me non mi considerate, che faccio per me”, ma che se proprio devono integrarsi, sono ottimi leader, non capi, perché non s’impongono mai, e riescono a coinvolgere sempre. “Io sono una Gamma” mi sono detta, e poi l’ho confidato anche al mio compagno divino: noi siamo Gamma, ce ne fottiamo della società, non vogliamo un posto al sole sulla scala sociale, anzi, quanto più vicino al confine ci posizioneremo, tanto meglio vivremo. E restituire i ruoli a noi non connaturati a chi ce li ha imposti aiuta a uscire prima e meglio da questa rat race e vedere cosa c’è fuori dal laboratorio della ACME, dove ogni sera Mignolo e Il Prof. tentano di conquistare il mondo. (E guarda caso sono topi e non escono mai da quella gabbia estesa che è il laboratorio dell’Homo Doctus).
Quanti topi a questo mondo! Ma anche quanti salvatori, e quante Marie Addolorate e quanti docenti frustrati e poliziotti violenti perché magari hanno avuto un padre autoritario e si sa, con un padre così, secondo le 5 Leggio Biologiche, “non ti tira” e allora la libido si trasforma in violenza. Perché credete che i soldati e gli atleti si dovessero astenere dall’eros? Perché l’energia vitale è una (e Wilhelm Reich giustamente la chiamò orgone, da orgasmo) e se il padrone (lo stato) preferisce fartela incanalare nelle gambe e nelle braccia per farti combattere, sarà bene deviarla dal centro sessuale e inviarla negli arti. Per lo stesso motivo, i governi attuali, che vogliono un popolo beota e placido, assieme al romanico panem et circenses fanno leva proprio sul sesso nel suo aspetto più deteriore (la pornografia) che oltre a rendere sterili serve anche a sfogare quelle poche energie rimaste dopo anni d’indottrinamento all’obbedienza, cibo spazzatura, lavoro estenuante e malattie ereditarie. Ci controllano in ogni modo, anche noi Gamma, non crediate… Ma almeno rendersene conto aiuta a riappropriarsi un po’ di sé, e quindi a comprare meno, perché meno compromessi si fanno, meno ci si svende, meno si ha bisogno di comprare per colmare quel vuoto di Sé.
Concludo: ho finalmente ammesso a me stessa che sono una scrittrice e come tale voglio vivere. Non so quanto sarà lungo il processo che porterà dalla presa di coscienza alla messa in atto. Intanto scrivo, scrivo sempre, scrivo perché non ne posso fare a meno, scrivo perché mi dà gioia e perché il pensiero crea e tra la creazione sul piano mentale e la sua realizzazione materiale ci sta proprio la PAROLA, il LOGOS, che Faust ha tanta difficoltà a tradurre in buon tedesco e che poi sceglie di rendere col vocabolo “Tat”, l’azione. In principio era l’Azione.
Quale sarà la vostra prossima?
Abracadabra
Stella Sophia Picarò
La lettura di questo piccolo Essay, si é collegato nel filo dei miei pensieri alla considerazione che l’uomo è un disadattato per natura (o meglio per LA natura) mentre gli animali sono PERFETTI per l’ambiente in cui vivono, l’uomo dipende sempre da qualcosa e/o qualcuno esterno, perpetuamente
inadatto quindi imperfetto quindi “impresenziabile” nel senso che autonomamente non dovrebbe esserci…e qui dovrebbe entrare in gioco la moderazione professionale di Gianluca un benvenuti a una nuova puntata e poi Bizzi e De Grata che partono con due lezioni in simultanea, quaderno e appunti. SIGLA! 😀
P.s.
Complimenti per lo stile di scrittura e le riflessioni: mi risuonano (cit. G.Lamberti) mi sa che ho scelto il prossimo libro da acquistare.