La “Fiaba del Serpente Verde e della Bella Lilia” di Johann Wolfgang von Goethe è simbolica per affermazione dello stesso autore, che sentì il bisogno di scrivere un racconto simbolico i cui elementi potessero essere interpretati in vari modi, per non limitare i quali lo scrittore non fornì mai la propria chiave di lettura, convinto che le altrui interpretazioni avrebbero ampliato indefinitamente il significato del testo, accrescendone il valore.

Mentre consultavo i manuali alchemici, i testi antroposofici e gli appunti ricavati dalle infinite chiacchierate con la Prof.ssa Maria Franca Frola (che vedete nell’immagine in alto a sinistra), il cui contributo ha fornito la Pietra d’appoggio di questo breve saggio, pensavo che sicuramente anche queste “nuove” intuizioni in un certo senso dovevano essere state previste dall’autore, che con sapiente lungimiranza ha attinto a un simbolismo profondamente archetipico, e perciò onnipresente ed eterno.

Questa nuova edizione si caratterizza per alcune novità: in primo luogo la traduzione è inedita sotto alcuni aspetti, perché rivoluziona il “genere” del Serpente, che finalmente si riappropria del suo originario Femminile (e nel libro viene spiegato approfonditamente perché ciò è così importante); in secondo luogo il validissimo contributo della Prof.ssa Maria Franca Frola è stato in parte rielaborato e integrato da alcune mie annotazioni quasi a margine che spero contribuiranno a illuminare con nuove sfumature la figura della Serpe Verde e il molteplice significato della magia ad essa correlata.

In questo articolo tuttavia non voglio parlarvi del contenuto del libro (chi vuole leggerlo, può trovarlo qui: https://www.auroraboreale-edizioni.com/prodotto/la-fiaba-di-goethe-e-la-magia-verde-stella-picaro/ per i tipi delle Edizioni Aurora Boreale, edito da Nicola Bizzi, che sentitamente ringrazio); voglio raccontarvi invece quasi tutto ciò che sul magico verde ho trovato e che non ha trovato posto nel testo perché il discorso si sarebbe ampliato troppo, e talvolta dire troppo confonde. Questo articolo è quindi dedicato ai brani esclusi, che verdi d’invidia (non lo scrivo a caso) si sono ripresentati alla mia mente, un po’ come i sei Personaggi in cerca d’autore di Pirandello, e hanno reclamato il loro posto nel web… Eccoli qui. Ogni brano è corredato da un pensiero in nuce che il lettore è invitato a sviluppare.

* * *

1) In La Beatrice di Dante Gabriele Rossetti scrive: “Dante non solo confessa di essere pianta-novella o neo-fitoma più che no’l fe Apuleio e Dion Crisostomo, descrive con minuzia meravigliosa tutta la funzione […] della sua solenne iniziazione (pagg. 16-17). Come rigenerato, ei doveva essere duplice, NUOVA VOLONTA’ e INTELLIGENZA NUOVA, […] due dunque esser dovevano i NEO-FITI o le PIANTE NOVELLE in lui formate; e perciò […] chimaramente si annunzia

Rifatto sì, come PIANTE NOVELLE,

rinnovellate di novella froda,

Puro e disposto a salire alle stelle.

(Purgatorio, I, finale)

E il glossario greco dice “neo-fita: pianta novella o iniziato” e il Ragon ci ricorda: “la parola “iniziato” […] significava che la persona iniziava una nuova vita. Secondo Apuleio l’iniziazione è “la resurrezione a una nuova vita. L’aspirante o il postulante è colui che chiede di essere iniziato; una volta ricevuta l’iniziazione, si diventa un neofiia, un neonato, un iniziato” (pag. 83).

Quindi il vero iniziato non solo comincia una nuova vita, ma accede a un nuovo livello di esistenza, diventando una vera e propria “pianta nuova”; la sua nuova vita “vegetale” lo rende parte consapevole e cooperante di un organismo più grande (l’ordine iniziato in cui è appena entrato), che ovviamente può fare tranquillamente a meno di lui, ma che cionondimeno si assicurerà del benessere del suo nuovo individuo fintanto che “i tralci resteranno attaccati alla vite”, per esprimersi evangelicamente.

2) Nel suo celebre Il Mistero delle Cattedrali Fulcanelli manifesta la necessita di “dire due parole sul termine “gotico”, impiegato per l’arte francese che impose il suo stile a tutta la produzione del Medioevo. […] La spiegazione va cercata nell’origine cabalistica della parola anziché nella sua radice etimologica. Alcuni autori perspicaci, colpiti dalla similitudine tra gotico e gaelico, hanno pensato che ci dovesse essere uno stretto rapporto tra Arte gotica e Arte gaelica o magica. Infatti art gotique non è altro che una deformazione ortografica della parola argotique, la cui omofonia è perfetta, conformemente alla legge fonetica che regola la cabala fonetica in tutte le lingue e senza tener conto dell’ortografia. La cattedrale, quindi, è un capolavoro d’art goth o d’argot (la pronuncia delle due parole in francese è identica). I dizionari definiscono la parola argot come “il linguaggio particolare di tutti coloro che vogliono scambiarsi le proprie opinioni senza essere capiti da chi li circonda”; è quindi una vera e propria cabala parlata, […] detta anche la nostra lingua verde. […] tutti gli Iniziati si esprimevano in argot, anche i vagabondi della Corte dei Miracoli […] e i frammassoni del Medioevo. […] Ancora un dettaglio utile per l’ermetista: nel cerimoniale prescritto per le processioni delle Vergini nere venivano bruciati solo ceri di color verde”.

Come si accenna nel quarto seme, ogni fase della Grande Opera è contraddistinta da un colore e dominata da o consacrata a un pianeta, che per gli antichi ovviamente era anche una divinità; ora, il verde era il colore di Venere, archetipo primigenio di tutte le divinità femminili, di cui la Vergine Nera è una delle molteplici manifestazioni.

3) Sempre nella stessa opera, il nostro misterioso alchimista spiega che “il mito di Tristano de Léonois è una replica di quello di Teseo. Tristano combatte e uccide il Morhout, Teseo il Minotauro. Qui ritroviamo il geroglifico della preparazione del Leone verde, da cui deriva il nome di Léonois o Léonnais portato da Tristano; tale preparazione è insegnata da Basilio Valentino mediante la parabola della lotta di due campioni, l’aquila e il drago. Quello dell’alchimista col drago (Ciliani), della remora con la salamandra (di Cyrano Bergerac), del serpente rosso contro quello verde, etc.. […] Generalmente, il Leone è il segno dell’oro, segno sia alchemico che naturale; traduce cioè le proprietà fisico-chimiche di questi corpi, ma i testi danno lo stesso nome alla materia che, nella preparazione del solvente, accoglie in sé lo Spirito universale, il fuoco segreto. […] Il primo agente magnetico che serve a preparare il solvente alcuni l’hanno chiamato Alkaest ed è il Leone verde, chiamato così perché non ha ancora acquisito i caratteri minerali che distinguono chimicamente lo stato adulto dallo stato nascente: è un frutto ancora acerbo, se paragonato al frutto rosso e maturo; è la giovinezza metallica, sulla quale non ha ancora agito l’Evoluzione, ma che contiene in sé il germe latente d’una energia reale, che più tardi sarà destinata a svilupparsi; è lo stadio in cui sono l’arsenico e il piombo comparati all’argento e all’oro; è l’imperfezione di oggi da cui deriverà la più grande perfezione futura; il rudimento del nostro Elisir. Alcuni Adepti, tra cui Basilio Valentino, l’hanno chiamato Vetriolo verde per significare la sua natura calda, ardente e salina; altri Smeraldo dei Filosofi, Rugiada di maggio, Erba di Saturno, Pietra vegetale, etc.: “la nostra acqua, dice Arnaldo da Villanova, prende il nome delle foglie di tutti gli alberi, degli alberi stessi e di tutto ciò che è verde, per ingannare gli insensati”.

Molto interessante questo richiamo alla natura iniziatica dell’Alkaest, che è una sostanza “appena nata”, un neo-fita se vogliamo. E a ragione gli alchimisti spesso rammentano che “l’adepto è la pietra”: Opera & Artista si corrispondono, l’Una è l’Altro, perché compiendo l’Opera, l’Artefice diventa prima Artista e poi l’Opera stessa. L’essere umano deve quindi diventare la materia di cui e con cui si compie la trasmutazione; per questo molti manuali alchemici citano il “Nostoc”: “questa pianta è un criptogamo noto a tutti i contadini e che si trova dappertutto. In primavera, di buon mattino, se ne trovano di voluminose, gonfie di rugiada notturna. Gelatinose, e tremolanti, da cui deriva il nome di tremelle, sono verdastre e si seccano così rapidamente ai raggi solari che dopo qualche ora è impossibile trovarne le tracce dove appena prima erano sparse. La combinazione di tutti questi caratteri differenti (improvvisa apparizione, assorbimento d’acqua e rigonfiamento, colore verde, consistenza molle e scivolosa) ha permesso ai Filosofi di prendere quest’alga come segno geroglifico della loro materia”.

E se la Materia e l’Artista sono la stessa cosa, allora gli alchimisti ci riconfermano la natura “vegetale” dell’iniziato, che diventa davvero parte di una struttura più grande e onnicomprensiva.

4) Fulcanelli prosegue: “il Leone rosso, secondo i Filosofi, è la stessa materia, o Leone verde, portata a questa tipica qualità che caratterizza l’oro ermetico o Leone rosso. Per questo Basilio Valentino ci dà questo consiglio: “Sciogli e nutrisci il vero Leone col sangue del Leone verde, perché il sangue fisso del Leone rosso è ricavato dal sangue volatile di quello verde, perché ambedue posseggono la medesima natura”. Tra tutte queste qual è la vera interpretazione? Non possiamo rispondere a questa domanda, [ma possiamo affermare che] l’assorbimento del fisso da parte del volatile avviene lentamente e a fatica. Per riuscirvi bisogna avere molta pazienza e perseveranza e ripetere spesso l’affusione dell’acqua sulla terra, dello spirito sul corpo. Solo con questa tecnica lunga e fastidiosa si riesce a estrarre il sale nascosto del Leone rosso con l’aiuto dello spirito del Leone verde. […] Questo motivo è una variante dell’allegoria dei Leoni verde e rosso, del solvente e del corpo da sciogliere, infatti il vecchio, identificato dai testi con Saturno, che si dice divora i suoi figli, era una volta dipinto in verde. […] Il geroglifico di Saturno, considerato solvente, è molto antico: su di un sarcofago del Louvre che aveva contenuto la mummia d’un prete di nome Poeris, scriba d’un tempio di Tebe, si può osservare sul lato sinistro il dio Sou, che sostiene il cielo con l’aiuto del dio Knubis (anima del mondo), mentre ai loro piedi giace il dio Ser (Saturno) sdraiato, con le membra color verde”.

Come si è accennato nel secondo seme, gli alchimisti hanno da sempre visto e istituito delle corrispondenze tra pianeti/divinità, colori e metalli con cui si lavora in ciascuna fase della Grande Opera; la fase iniziale, la nigredo, è notoriamente consacrata a Saturno, seguono (tralasciando le fase intermedie) la cauda pavonis (o coda di pavone, caratterizzata da mille colori), che alcuni consacrano a Giove, l’albedo, retta dall’argentea Luna, la viriditas, o opera al verde, governata da Venere, e infine la rubedo, o opera al rosso, consacrata al Sole. Al verde si associano quindi solitamente il pianeta e la dea Venere, ma l’Artista che ha decorato il sarcofago del sacerdote Poeris ha dipinto di verde non la dea della viriditas, ma Saturno, plumbeo signore del nero, quasi a ricordarci che nella dissoluzione di ciò che c’è si trovano già tutte le sostanze di ciò che sarà.

5) E ancora: “gli Iniziati sanno di quale vaso parliamo; in genere è chiamato uovo filosofico e Leone verde. […] Il secondo epiteto non è stato mai spiegato in nessun testo. Batsdorff, nel Filet d’Arìadne dice che i Filosofi hanno chiamato Leone verde il recipiente che serve alla cottura, ma non spiega perché. Il Cosmopolita, insistendo sulle qualità del vaso e su quanto sia necessario nel corso del lavoro, afferma che nell’Opera “c’è soltanto questo Leone verde che chiude e apre i sette sigilli dei sette spiriti metallici, e che tormenta i corpi finché non li abbia completamente perfezionati, a prezzo d’una lunga e perseverante pazienza dell’artista”. Nel manoscritto di Aurach vediamo un matraccio di vetro pieno per metà d’un liquido verde; l’autore aggiunge che tutta l’arte sta nell’ottenere solo questo Leone verde e che il nome stesso ne indica il colore. È il vetriolo di Basilio Valentino. La terza figura del Vello d’oro è quasi identica all’immagine di Aurach. Nella prima vediamo un filosofo vestito di rosso, col capo coperto da un berretto verde, e che indossa un mantello di porpora, mentre mostra con la mano destra un matraccio di vetro contenente un liquido verde. Ripley s’avvicina maggiormente alla verità quando dichiara: “un solo corpo immondo entra nel nostro magistero; comunemente i Filosofi lo chiamano Leone verde. È il mezzo e il modo per unire le tinture tra il sole e la luna”. Il vaso è quindi considerato in due modi: per quel che riguarda la materia che lo compone e per la sua forma, da un lato come un vaso di natura, dall’altro come vaso dell’arte. Le descrizioni scarse e poco chiare che abbiamo riportato si riferiscono alla natura del vaso; una gran quantità di testi, invece ci informano sulla forma dell’uovo”.

Questi pochi brani mostrano quanto sensibilmente gli iniziati considerino e percepiscano il colore verde, al punto che lo stesso Gustavo Rol rimase comprensibilmente terrorizzato quando scoprì la ben nota e tremenda legge che unisce la quinta musicale al calore e al color verde. Sul canale Facciamo Finta Che abbiamo parlato molte volte di questo tema (per esempio QUI, QUI, QUI, QUI e naturalmente QUI) e con le mie poche note spero di stimolare la curiosità dei lettori. Concludo con un ultimo rapido appunto: la lunghezza d’onda di picco dell’emissione solare corrisponde al color verde e nel suo Faust, l’iniziato Goethe identifica Dio con il sole, che però in tedesco incarna l’archetipo del Femminile…

Buona lettura a tutti

Di STELLA PICARÒ

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