Ritorna anche questa settimana l’appuntamento con la rubrica “Faranno Finta Che”, lo spazio dedicato agli amici del canale che ci hanno inviato un loro contributo. Oggi Claudio Martinotti Doria ci fornisce un approfondimento dettagliato della figura di Vlad l’Impalatore.

Chi ha fermato l’invasione turca dell’Europa nel Tardo Medioevo?

Se dovessimo chiedere a qualcuno a caso se sa quali siano stati gli eventi che hanno frenato l’avanzata dei turchi in Europa, oppure se sa dire quando fu combattuta la famosa battaglia navale di Lepanto (1571 d.c.), o ancora quali fossero i contendenti, credo che pochi saprebbero rispondere correttamente: da una parte i turchi ottomani cioè l’Impero Ottomano o Sublime Porta (uno dei più potenti imperi della storia dell’Umanità, che al suo apogeo sotto il Sultano e Califfo Solimano I il Magnifico in pratica possedeva e presidiava la stragrande maggioranza delle coste del Mediterraneo ed assediava ai confini buona parte dell’Europa) e dall’altra la Lega Santa o santa alleanza, che in realtà era estesa solo all’Impero Spagnolo ed alle forze navali dei vari stati della penisola italiana sotto le insegne papali. 

I più acculturati citerebbero anche l’assedio di Vienna, avvenuto mezzo secolo prima della battaglia di Lepanto, giusto per far capire che le guerre si devono vincere su tutti i fronti ed in ogni contesto, sia per mare che per terra, poiché finché il nemico dispone di una superiorità in qualche ambito, la guerra prosegue e l’esito della supremazia rimane incerto.

Potrebbero anche citare la ben successiva battaglia di Vienna (1683) che decretò l’inizio del declino dell’Impero Ottomano e la retrocessione dei turchi dai Balcani a favore degli austriaci (Sacro Romano Impero).

Ma ormai siamo avanti con le datazioni, siamo in Età Moderna dal punto di vista storiografico, e prima cosa avvenne? I turchi avevano mano libera o qualcuno è riuscito a fermarli? E finora ci siamo limitati agli eventi e contendenti ma dei personaggi storici protagonisti che sappiamo?

Quanti dei nostri immaginari interlocutori casuali sarebbero in grado di citare a chi dovremmo veramente essere grati per aver rallentato a lungo l’avanzata dei turchi nei Balcani e quindi in Europa, ben prima degli eventi sopracitati?

Forse se gli interlocutori fossero di nazionalità albanese o rumena saprebbero rispondere correttamente, conoscendo meglio di noi la loro storia (noi abbiamo l’alibi della complessità, che ci giustifica anche nell’ignoranza più cupa). In parte ho già svelato questo piccolo segreto, almeno relativamente alla nazionalità dei nostri eroi, semisconosciuti da noi ma non certo nelle loro patrie, che appartengono all’epoca storica da me preferita, il Medioevo, in questo caso al Tardo o Basso Medioevo.

Ci penso spesso a questi personaggi che mi accingo sinteticamente a citare e descrivere, perché rappresentano bene i paradossi della storia; divenuti eroi per necessità, perché le circostanze li hanno indotti a far emergere le loro capacità belliche, strategiche, logistiche, tattiche e politiche; con poche risorse e uomini a disposizione dovettero affrontare il più potente esercito di quell’epoca (quando si muoveva era mediamente composto da 80 mila fino a 150 mila effettivi), mentre i regnanti europei “cristiani” erano troppo impegnati nelle loro solite attività: cospirazioni, lotte intestine per la successione al trono, inganni, vendette, doppiogiochismo, repressioni, bagordi da depravati, tradimenti, congiure, ruberie, temporeggiamento opportunistico, ecc., per sprecare il loro tempo per inviare rinforzi ai nostri solitari combattenti per la libertà delle loro patrie e per prevenire l’invasione del continente.

Alcuni di Voi lettori appassionati di storia avranno già capito a chi mi sto riferendo. Uno dei personaggi storici è Vlad III detto Țepeș (l’Impalatore, 1431-1476) Voivoda di Valacchia e dei ducati di Almaş e Făgăraș, cioè principe militare e politico, un regnante a tutti gli effetti, cui si ispirò Bram Stoker per il suo famoso conte Dracula che significa “figlio del drago o del diavolo”. Personaggio su cui mi soffermerò particolarmente perché atipico e storicamente significativo, decisamente dotato di capacità straordinarie rispetto alla media dei regnanti dell’epoca.

L’altro è Giorgio Castriota Scanderbeg (1405-1468) principe d’Albania e dell’Epiro eroe nazionale albanese, nominato dal Papa Callisto III Defensor fidei, plurivincitore di diverse battaglie contro i turchi, seppur in inferiorità numerica.

Oltre ai due personaggi citati, limitandoci ai Balcani (perché altrimenti dovremmo essere grati anche ai Mongoli e Tartari), in parte dobbiamo essere riconoscenti anche al Montenegro, limitatamente all’area di pertinenza.

I montenegrini seppur dominati dall’Impero turco ottomano diedero continuamente filo da torcere, guidati dai loro Vladika o Principi Vescovi. I Vladika erano eletti da assemblee popolari e provenivano dalle migliori famiglie native montenegrine. Erano leader popolari e profondamente spirituali che favorivano il culto della fratellanza, dell’eroismo e degli antenati, attraverso i secoli garantirono l’indipendenza del Montenegro (seppur tributario all’Impero Ottomano, godeva di ampia autonomia), l’identità e l’unità nazionale montenegrina, evitando di degenerare nelle frequenti lotte tribali balcaniche.

Circondati dall’Impero ottomano, arroccati negli altopiani intorno al monte Lovčen, vinsero numerose battaglie contro il più potente esercito dell’epoca, sfruttando la perfetta conoscenza dei luoghi unitamente al loro esuberante coraggio, alla fortissima motivazione ed efficaci tecniche belliche, che resero il Montenegro leggendario per il suo eroismo e riconosciuto dalle potenze europee.

La parte costiera del Montenegro invece rimase sempre sotto la giurisdizione della Repubblica Veneta fino all’arrivo di Napoleone. Proverbiale in proposito l’affidabilità e la fedeltà della Repubblica Marinara di Perasto (nelle Bocche di Cattaro) alla Repubblica Veneta, cui forniva i migliori marinai.

Quindi il Montenegro rappresentava una specie di enclave privilegiato all’interno dell’immenso dominio territoriale dell’Impero Ottomano.

Vlad Țepeș della dinastia dei Drăculești era di origini transilvane (la Transilvania era “la terra al di là delle foreste”) essendo nato a Sighişoara, divenne già in giovane età e per breve tempo Voivoda di Valacchia, che nel medioevo corrispondeva grossomodo alla Dacia romana.

Non per caso gli indomiti Daci erano temuti dai romani per le loro cariche tumultuose ed incursioni veloci, e per il ricorso al “terrorismo psicologico” con tattiche di guerriglia e la tecnica di infierire sui nemici vinti mozzandone le teste per appenderle alle lance e disseminarle nei percorsi a scopo deterrente, costumi bellici cui probabilmente si ispirò Vlad Țepeș durante il suo regno, per combattere i nemici interni e contigui ma soprattutto i turchi ottomani. I Daci non risulta praticassero l’impalamento, come neanche i turchi, se non raramente, quindi non si sa storicamente a chi si ispirò Vlad nell’adottare questa tecnica rendendola sistemica durante la sua esistenza.

Il padre era Vlad Dracul che nel 1431 fu insignito dell’Ordine Militare del Drago (o del Dragone) del Sacro Romano Impero Germanico, che era un Ordine di notevole prestigio ed influenza politico militare internazionale che per qualche tempo esercitò anche il potere politico nel regno di Ungheria e Boemia, il cui scopo primario era combattere i turchi e proteggere la cristianità.

Dracul significava nella lingua locale sia “drago” che “diavolo”, e Vlad III venne denominato Drăculea cioè discendente di Dracul, motivo probabilmente all’origine delle successive elaborazioni letterarie.

In uno dei rari documenti in cui risulta una firma del Voivoda, Vlad si firma Vladislao Dragwyla, cioè Vlad figlio del Drago.

Il suo regno non fu continuativo, ma ebbe diverse interruzioni e dovette combattere con la tipica crudeltà dell’epoca (niente affatto inconsueta) per riprendere, preservare e consolidare il potere in Valacchia, sia contro le città sassoni (una sorta di città stato simili alle nostre) dominate dai mercanti tedeschi che volevano evitare di pagare i tributi e riconoscersi come vassalli, sia contro gli stati confinanti come la Transilvania, sulla quale all’epoca della sua giovinezza regnava Giovanni Hunyadi (famoso come “Cavaliere Bianco”, anche lui contribuì ad arrestare l’invasione turco ottomana) e l’Ungheria, di cui Vlad per alcuni anni divenne vassallo, ai tempi del re Mattia Corvino, e soprattutto contro l’Impero Ottomano.

Una guerra continua e logorante, anche contro i suoi stessi boiardi (nobili vassalli), traditori, corrotti e doppiogiochisti, occupati prevalentemente ad accaparrarsi ricchezze senza alcuno scrupolo e senza rispetto per il giuramento di fedeltà al principe, favoriti dal fatto che questi mutavano spesso e duravano poco al potere.

Vlad in un’epica occasione conviviale da lui organizzata nel suo palazzo di Târgoviște nel 1459 riuscì a sbarazzarsi in un colpo solo di circa 200 boiardi arroganti ed infedeli (compresi i famigliari); l’episodio fu noto successivamente come “Pasqua di Sangue a Târgovişte”. Dopo averli provocati facendo loro rivelare l’arroganza e la scarsa predisposizione alla fedeltà, li fece decapitare e/o impalare ed alcuni li ridusse in catene costringendoli ai lavori forzati nel restauro del castello di Poenari, che divenne il simbolo del suo potere, edificio cui si ispirò Bram Stoker per ambientare il suo romanzo.

Ė stato il primo caso in Europa, documentato storicamente, nel quale alti dignitari di corte, nobili, ecc. siano stati ridotti in catene e costretti ad edificare un castello (il fatto è unanimemente riconosciuto, variano solo le cifre delle vittime fino ad esagerare oltre ogni oggettiva attendibilità, nel senso che nel palazzo non c’era spazio sufficiente per contenerle).

Si presume inoltre che siano stati sostituiti con piccoli proprietari terrieri selezionati da Vlad che li ha elevati al rango di boiardi, cioè membri dell’alta aristocrazia slava. Le cronache dell’epoca hanno esagerato sulla crudeltà ed efferatezza di Vlad, come spesso accadeva quando a scriverle erano i nemici, oltre ai numeri dei nemici uccisi e decapitati (soprattutto quelli interni o cristiani) non si deve credere a quanto gli viene attribuito come torture (che comunque venivano abitualmente praticate ovunque, compresa la chiesa) o addirittura il cibarsi di carne umana o bere sangue (antropofagia ed ematofagia), in quanto sono tutte attribuzioni fuorvianti e distorcenti aventi lo scopo di denigrarlo e screditarlo pubblicamente per poterlo privare di autorevolezza e destituirlo dal potere.

Fu educato al potere e formato fin da bambino all’arte della guerra sia presso la corte cristiana del padre a Târgoviște e dello zio Bogdan II di Moldavia, sia presso quella islamica del Sultano, di cui il padre (e poi anche lui) divenne alternativamente vassallo ed alleato e poi nemico mortale (era normale all’epoca tra regnanti cambiare continuamente alleanze in base alla dinamica evolutiva delle circostanze e dei contesti). La presenza del giovane alla corte del Sultano era dovuta all’usanza di fornire in ostaggio parenti stretti, in questo caso due figli, per garantire la fedeltà del vassallo, quando la propria credibilità era compromessa.

Vlad era anche estremamente istruito, aveva appreso tutte le lingue parlate nei Balcani nonché il francese e l’italiano ed il suo modello di riferimento era Scanderbeg, all’epoca già famoso per le sue qualità di condottiero.

Quando il Papa Pio II a Mantova nel gennaio del 1460 indisse una crociata contro il Sultano Maometto II il Conquistatore, una lunga lista di regnanti cristiani restò indifferente, accampò scuse, si defilò, nonostante l’anno successivo cadde in mani turche anche la Morea, ultimo avamposto cristiano dopo Costantinopoli (che fu conquistata da Maometto II nel 1453). Gli unici disponibili a fornire sostegno militare, peraltro assai considerevole, con grande imbarazzo papale, furono i regnanti mussulmani e Tartari dell’Europa Orientale, Crimea e Caucaso, non ancora assoggettati all’Impero Ottomano, ed unico tra i cristiani fu Vlad Țepeș il quale appena due anni prima aveva stipulato un accordo con Maometto II riconoscendosi come Vassallo tributario (in denaro ed inviando giovani valacchi per divenire Giannizzeri, cosa che Vlad non fece mai) in cambio dell’autonomia del suo principato e la sua protezione militare.

Ottimo ma soprattutto astuto stratega politico-militare, compensò l’eccessiva inferiorità numerica del suo esercito con una efficace rete di spionaggio, con l’abilità nell’ingannare il nemico e con la rapidità degli spostamenti militari. Fu l’unico condottiero cristiano che riuscì a penetrare con delle devastanti incursioni in territorio turco per svariate centinaia di chilometri seminando il panico e procurandosi una temibile fama.

Travestendo parte dei suoi cavalleggeri con armature turche riuscì a penetrare e distruggere la fortezza di Giurgiu sul Danubio e catturare importanti luogotenenti del Sultano portando il terrore in molti villaggi e città in mano ai turchi, uccidendo molte migliaia di soldati e civili. Ma era anche consapevole che senza l’aiuto di Mattia Corvino Re d’Ungheria non avrebbe potuto resistere a lungo, per cui gli scrisse diverse volte per incitarlo ad allearsi, ma senza esito. Corvino da proverbiale principe machiavellico rinascimentale, tergiversava per evitare di esporsi e sbagliare mossa, lasciando che fossero altri a correre rischi al posto suo.

L’eco delle gesta eroiche di Vlad era giunto alle corti europee destando entusiasmo ed ammirazione: la ferocia in guerra, purché contro i turchi ed i loro alleati rinnegati, era non solo tollerata ma approvata. Ma erano giubili ipocriti, senza alcuna reazione concreta. Lo stesso Corvino a Buda tergiversava, e stava impiegando i finanziamenti ricevuti dal Pontefice e destinati alla crociata, per appropriarsi della Corona di Santo Stefano, che gli occorreva per legittimare il suo potere.

Nel 1462 Maometto II mosse il suo enorme esercito contro la Valacchia. Le cronache dell’epoca parlano di 300 mila uomini, ma è più probabile che fossero circa un terzo del dichiarato, in ogni caso costituivano oltre il triplo dell’intero esercito di cui poteva disporre il Voivoda di Valacchia. Ma la componente più temibile erano i famosi Giannizzeri, l’élite dell’esercito ottomano, composto da ragazzi rinnegati “arruolati” a forza ed addestrati per ben sei anni, come in un’accademia militare, in tutte le arti belliche, nelle quali eccellevano. Quando erano schierati interamente ammontavano a circa 10 mila effettivi, e da soli erano in grado di affrontare qualsiasi armata, in quanto dotati di tutte le armi più innovative ed efficaci dell’epoca.

Dal canto suo Vlad disponeva anche di mercenari pagati dai mercanti delle città sassoni di Valacchia, che erano assai competenti nell’uso delle balestre, in grado di proiettare 4 dardi al minuto e forare qualsiasi armatura, e degli arcieri dotati di arco inglese lungo, in grado di tirare 15 frecce al minuti fino ad una distanza di oltre 300 metri. Inoltre i suoi conoscevano meglio il territorio in cui avrebbero combattuto, disponevano di maggiori riserve di cibo ed acqua e praticavano le tecniche di guerriglia ed incursione (sconosciute ai turchi), ed erano decisamente più motivati, in quanto dovevano difendere la propria patria, concetto che avevo già spiegato in precedenti articoli, essere diversamente concepita rispetto ad oggi, costituendo un fortissimo legame vitale e motivazionale.

Vlad non solo non ricevette alcuna risposta agli appelli inviati al re d’Ungheria ma proprio mentre si accingeva ad attaccare l’esercito ottomano si vide minacciato dal cugino Stefano Principe di Moldavia, nel frattempo alleatosi con Maometto II, che premendo alla frontiera della Valacchia, costrinse il Voivoda di Valacchia a distogliere 7 mila cavalieri dal suo esercito per dirottarli sul nuovo ed imprevisto fronte di guerra. Il contingente inviato da Vlad fu in breve tempo quasi completamente distrutto dalle preponderanti forze congiunte moldavo ottomane.

Questa circostanza costrinse il Voivoda di Valacchia ad adottare tattiche belliche estreme, fece terra bruciata per ostacolare l’avanzata dell’esercito ottomano, buttando anche cadaveri animali nei pozzi e nei corsi d’acqua, ed ogni altro espediente attuabile, in modo tale che, come citano le cronache riportate dai nemici, per ben sette giorni l’esercito ottomano non riuscì a trovare alcun segno di vita, ne cibo ne acqua nel suo lento avanzare.

In tal modo l’esercito ottomano si stava indebolendo e rallentava, per le inevitabili difficoltà di approvvigionamento dalle retrovie, per quanto l’organizzazione fosse perfettamente curata, addirittura meticolosa nei dettagli estetici e funzionali, così come nella realizzazione degli accampamenti militari durante le soste, che avevano estensioni impressionanti, come le dimensioni delle tende principali destinate al sultano ed ai suoi luogotenenti, in confronto alle quali le tende dei circhi sembrerebbero da campeggio.

Se si aggiunge il particolare certamente significativo ed assai influente, che le stagioni in quel periodo nei Carpazi erano estreme (si riducevano praticamente a due, estate ed inverno), caldissime d’estate e freddissime d’inverno, almeno gli aspetti logistici e ambientali erano a favore dell’esercito di Vlad l’Impalatore.

Vlad organizzò e condusse con alcune migliaia di cavalieri una rapida e feroce incursione notturna nell’accampamento turco, attaccando contemporaneamente da due lati, devastando, bruciando ed uccidendo tutto ciò che si muoveva e poi si ritirò in montagna. L’ambizioso obiettivo di arrivare fino alla tenda del Sultano per ucciderlo non poteva che fallire, considerando i diversi livelli di protezione di cui godeva nell’accampamento, ma l’esito fu comunque notevole.

I turchi erano inermi di fronte a queste tattiche di guerriglia che li colsero completamente di sorpresa, ed erano terrorizzati dalla crudeltà che incontrarono avanzando in territorio nemico, la visione di una molteplicità di cadaveri o persone agonizzanti impalate, sia nemici che abitanti dei luoghi, li rendeva sgomenti, anche se veterani di tante battaglie, la temerarietà, invincibilità e ferocia dimostrata dal comandante nemico seminava il panico tra di loro, alimentando sempre più la leggenda di Vlad l’Impalatore.

Gli storici rumeni sono in disaccordo su questi aspetti riportati dalla cronaca dell’epoca, sia sui riferimenti meramente numerici, quanti fossero stati gli impalati, e sia sul fatto che ci fossero anche civili tra di loro.

È lecito dubitare che Vlad abbia impalato anche civili della sua stessa popolazione durante la campagna militare contro Maometto II, molto probabilmente lo avrà fatto in epoche precedenti e durante i continui scontri con i rivali al trono di Valacchia, che in pratica rappresentavano vere e proprie guerre civili. A meno che volesse inviare un chiaro messaggio a Maometto II sulla disponibilità a distruggere e massacrare anche il suo popolo piuttosto che cedere di fronte al nemico.

Non sarebbe certo stata la prima volta che le cronache turche mentivano, anche spudoratamente, riportando versioni inverosimili e fantasiose sempre a favore dell’esercito ottomano ed esagerando nell’efferatezza dimostrata da Vlad l’Impalatore. Non furono i soli a farlo, anche i cronisti e scrivani europei, perlopiù prezzolati ed in seguito ad una sorta di committenza (Mattia Corvino fu uno di questi committenti), descrissero nei decenni successivi le imprese di Vlad l’Impalatore esagerando nella crudeltà, ricamandoci sopra con la più sfrenata e perversa fantasia, creando un’aneddotica che attualmente si definirebbe “horror”, riportando numeri che non hanno alcuna attinenza con la realtà oggettiva, arrivando persino ad attribuire a Vlad oltre 100 mila vittime nella sola Valacchia che all’epoca contava una popolazione di 500 mila abitanti (le purghe staliniane nell’ex Unione Sovietica erano in confronto da dilettanti).

In ogni caso l’impalamento di centinaia di vittime (le decine di migliaia attribuite sono inverosimili, considerando che la tecnica dell’impalamento è alquanto complicata da eseguire e richiede molti uomini e tempo a disposizione) per porle di fronte al nemico nel suo percorso di marcia, perlopiù ai lati della strada e nei campi contigui, era un’efficace tecnica terroristica, disperata e crudele, indotta dalle circostanze eccezionali, essendo il voivoda un isolato attore belligerante che non poteva contare su alcun aiuto militare ma solo su se stesso, non potendosi permettere alcuna pietà o esitazione di fronte ad un nemico in netta superiorità numerica.

Dopo questa esaltante vittoria Vlad si incontrò con Corvino per trattare un’alleanza, ma fu imprigionato da quest’ultimo che giustificò il suo atto coercitivo tramite documenti falsificati attribuiti all’Impalatore, che rivelavano una sua improbabile volontà di allearsi con Maometto II (considerando il modo come aveva combattuto, non solo tale ipotesi è inverosimile ma decisamente ridicola, la volontà di Maometto II era esclusivamente di ucciderlo ed ogni ipotesi di alleanza è destituita di fondamento).

In realtà Corvino doveva eliminarlo politicamente per impedirgli che con il suo eroismo e le frequenti richieste di aiuto militare lo costringesse a partecipare alla crociata contro i turchi, per la quale aveva ricevuto lauti anticipi dal papato e che lui aveva dirottato nell’acquisto della Corona di Santo Stefano dall’imperatore del Sacro Romano Impero che la deteneva. Corona che pagò con la notevole somma per l’epoca, di 80 mila monete d’oro.

Per una dozzina di anni Vlad visse da prigioniero di lusso, in diverse residenze poste a disposizione dal re d’Ungheria, in propri appartamenti e giardini, con una limitata libertà di movimento, potendo ricevere visite, alcune utili ai fini storici perché furono successivamente pubblicati gli argomenti discussi e le antesignane interviste che si svolsero. Finché nel 1475 Corvino si rese conto, con estremo ritardo, che la Valacchia senza Vlad come principe e governatore era troppo vulnerabile e stava per essere invasa dai turchi, non costituendo più lo stato cuscinetto che gli aveva fatto comodo precedentemente.

Quindi fece un accordo con Vlad dandogli in sposa sua cugina Ilona Szilàgy e gli assegnò il comando dell’esercito ungherese, con il quale inflisse alcune sonore sconfitte ai turchi; memorabile per l’astuzia e la ferocia vendicativa dimostrata in Bosnia, fu quella della città fortificata di Srebrenica, dove travestiti da turchi penetrarono seminando panico e distruzione.

Altre vittorie avvennero in Transilvania e Moldavia, dovute al fatto che finalmente gli eserciti di Ungheria e dei principati confinanti si erano uniti divenendo forti anche numericamente.

Paradossalmente, come a volte succede, la storia si fa beffe dei grandi personaggi e condottieri, ridicolizzandoli e rendendoli particolarmente vulnerabili, riservando loro una fine ingloriosa. Vlad morì sul finire del 1476 durante una specie di scaramuccia, poca cosa rispetto alle battaglie da lui vissute nel corso della sua vita, quando ormai la campagna bellica poteva dirsi terminata. Non si sa nulla con certezza, perché come al solito le cronache si contraddicono o sono inverosimili. Probabilmente fu colpito alle spalle da un sicario mentre si era trovato momentaneamente isolato dalla sua scorta. Sul fatto che il sicario fosse stato al servizio di Maometto credo sussistano pochi dubbi, in quanto la sua testa fu mozzata e portata rapidamente alla corte del sultano. Nei secoli successivi si creò il mito sia storico che letterario e ci si prodigò a cercare di testare, analizzare e ricostruire il personaggio da tutti i punti di vista, compreso quello psichiatrico, considerandolo uno psicopatico sadico, egocentrico e paranoico, ma il suo comportamento se non corrispondeva esattamente allo standard dell’epoca, si discostava di poco.

Faceva esattamente quello che facevano altri regnanti, solo che lui concentrava in se quasi tutte le efferatezze che negli altri erano più distribuite e rarefatte, ma occorre riconoscere che la pressione che lui subiva era maggiore, in quanto isolato politicamente e militarmente, e continuamente tradito e minacciato, e con il più forte esercito dell’epoca che lo braccava, oltre ad un numero imprecisato di sicari, che alla fine riuscirono nello scopo.

La morte prematura era per lui destino inevitabile, ma divenne immortale come personaggio per i miti e le leggende che lo trasformarono in quello che noi conosciamo.

di Claudio Martinotti Doria

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